Dopo l’addio a Sinisa Mihajlovic, il mondo del calcio italiano piange un altro grande protagonista. All’età di 58 anni è morto a Londra Gianluca Vialli. L’ex attaccante di Sampdoria, Juventus e Nazionale. Vialli da cinque anni lottava contro il cancro: nel 2017 gli era stato diagnosticato un tumore al pancreas. “Un ospite indesiderato, un compagno di viaggio che avrei evitato volentieri”, come lo aveva ironicamente definitivo lui stesso. Nelle settimane scorse, Vialli aveva annunciato la sospensione di tutti i suoi impegni professionali per “aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia, in modo da essere in grado al più presto di affrontare nuove avventure e condividerle con tutti voi”, aveva detto. Oggi purtroppo è arrivato l’annuncio della morte. La Figc ha disposto un minuto di raccoglimento da osservare prima di tutte le gare dei campionati in programma nel prossimo fine settimana.
Nato a Cremona il 9 luglio 1964, Vialli ha segnato un’epoca. Così come la sua amicizia con l’attuale ct dell’Italia, Roberto Mancini. Loro due, assieme a un ‘gruppo di amici’, hanno issato la Sampdoria di Paolo Mantovani (per Gianluca un secondo padre) sul tetto del campionato di Serie A e non solo: le hanno permesso di arrivare un minuto dalla Coppa dei Campioni, vinta a Wembley dal Barcellona grazie a un siluro sparato da Ronald Koeman su punizione. E dire che, in quella sera londinese, Vialli fu più volte a un passo dal vantaggio, graziando il portiere Zubizarreta. Eroe di un calcio senza tempo, icona di spensieratezza e enorme simpatia, poi di eleganza; quell’accuratezza nel vestire, quel suo sapersi mostrare con classe e stile, gli hanno fatto meritare il soprannome di lord del calcio. Nella sua formazione ha influito anche l’ironia di un personaggio assolutamente sopra le righe – dissacrante e carismatico – come Vujadin Boskov. Vialli iniziò la sua carriera da professionista con la maglia della Cremonese, prima di passare alla Sampdoria nel 1984. In blucerchiato ha vissuto le stagioni più intense, vincendo tanto fra Coppe Italia, lo scudetto 1990/91, la Supercoppa Italiana; il titolo europeo per club se lo prese con la Juventus, nella stagione 1995/96, battendo ai rigori l’Ajax nella finale dell’Olimpico di Roma. In bianconero avrebbe rivinto lo scudetto e molti altri trofei, prima di finire al Chelsea come giocatore e, poco dopo, diventandone anche allenatore.
Non gli sono mancate le soddisfazioni in azzurro, dove ha cominciato a segnare nelle giovanili, diventando ad esempio capocannoniere dell’Europeo Under 21 nel 1986, finito alle spalle della Spagna. Intanto, però, era già entrato nel giro della Nazionale maggiore, chiamato da Enzo Bearzot che lo portò ai Mondiali in Messico, dove fu protagonista, sostituendo spesso Bruno Conti sulla fascia destra. All’Europeo 1988, in Germania Ovest, Azeglio Vicini lo schierò nel suo ruolo naturale di centravanti e, l’anno dopo, indossò per la prima volta la fascia da capitano, prima di prendere parte al Mondiale del 1990 che si rivelò una grande delusione per l’Italia e anche per l’attaccante: la sua esperienza con la maglia azzurra sulle spalle si chiuse nel 1992, con un totale di 59 presenze e 16 reti. Nello stesso anno passò alla Juventus, per quattro stagioni ricche di soddisfazioni. gol e trofei, tra i quali anche la Coppa Uefa e un’altra Supercoppa Italiana.
Seguì un triennio al Chelsea, in un’Inghilterra che sarebbe diventata la sua seconda casa. Con i ‘Blues’ arrivarono altri successi e l’opportunità di cominciare la carriera di allenatore, prendendo il posto sulla panchina di Ruud Gullit, come play manager, riuscendo a portare a casa a fine stagione 1997/98 anche una Coppa delle Coppe. Altre due stagioni e altrettanti trofei non bastarono a evitargli l’esonero nel settembre 2000 e la successiva esperienza al Watford durò un anno solo, convincendolo a guardarsi intorno e trovando una nuova passione nel ruolo di opinionista e commentatore tv. Durante la prima permanenza al Chelsea diventò bersaglio delle accuse di Zdenek Zeman che, nel 1998, rilasciò l’intervista in cui parlava di esplosioni muscolari di alcuni calciatori, fra i quali proprio Vialli. Gianluca non gli perdonò mai quelle dichiarazioni. Inserito nella Hall of Fame del calcio italiano nel 2015, Vialli si era riavvicinato alla Nazionale fra il 2019 e il 2020, quando – pure in lotta con il tumore al pancreas che lo aveva colpito dal 2017 – fu nominato dalla Federcalcio capo delegazione, al fianco del ct e amico di sempre Mancini. In tempo per festeggiare proprio a Londra il trionfo agli Europei, con un abbraccio da brividi e il pianto liberatorio fra i due ex gemelli del gol sampdoriani al termine della finale di Wembley: quel frame resterà nella storia azzurra e non solo Soprattutto ora che il Lord del gol se ne è andato. Con garbo e stile, come da personaggio, raggiungendo altri grandi del calcio.