“È’ finita”: sarebbe questa la frase che il boss Messina Denaro avrebbe detto al suo autista Giovanni Luppino quando ha capito che di lì a poco sarebbe finito in manette. Lo ha rivelato lo stesso Luppino al gip sostenendo di essersi reso conto della vera identità del boss, presentatogli mesi prima con un altro nome, solo in quel momento. Luppino, l ‘agricoltore di olive che ha fatto l’autista a Messina Denaro, vedendo i carabinieri avvicinarsi avrebbe detto al capomafia se cercassero lui e il latitante avrebbe risposto “Sì, è finita”.
Per Luppino il gip, accogliendo la richiesta del pm della Dda di Palermo, ha disposto il carcere. Al giudice ha raccontato di aver conosciuto l’uomo che ha portato in clinica alcuni mesi prima perché gli era stato presentato da un compaesano, Andrea Bonafede, come suo cognato. Da allora non avrebbe mai più visto il boss fino a domenica, quando questi, che lui conosceva con il nome di Francesco, gli aveva chiesto di dargli un passaggio a Palermo dove avrebbe dovuto fare la chemioterapia. Una versione che, secondo la Procura, sarebbe completamente inventata. L’agricoltore deve rispondere di favoreggiamento e procurata in osservanza della pena aggravati dal metodo mafioso.
“La versione dei fatti fornita dall’indagato è macroscopicamente non veritiera – scrive il gip -, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza. Ma al di là di ogni considerazione logica, sono le risultanze investigative a fornire il dato decisivo, nella misura in cui il possesso del coltello e dei due cellulari – entrambi tenuti spenti e in modalità aereo – suggeriscono che Luppino fosse talmente consapevole dell’identità del Messina Denaro da camminare armato e ricorrere a un contegno di massima sicurezza per evitare possibili tracciamenti telefonici”.
Luppino, spiega il giudice, aveva “un coltello a serramanico della lunghezza di 18,5 centimetri e una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefono, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo, perché potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari. Trattandosi di un soggetto a stretto contatto con il noto latitante può senz’altro presumersi che sia custode di segreti e prove che farebbe certamente sparire se lasciato libero”.
Continuano intanto le perquisizioni a tappeto a Campobello di Mazara e non solo da parte delle forze dell’ordine. Gli immobili controllati oggi dalle forze dell’ordine sono entrambi di proprietà dell’avvocato Antonio Messina: il primo si trova a Campobello di Mazara all’angolo tra via Scuderi e Via Selinunte, di fronte l’abitazione di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss; il secondo in via Galileo Galilei a Torretta Granitola, un’abitazione estiva sul litorale nei pressi del faro e della sede dell’Istituto per la ricerca marina del Cnr.
L’avvocato Messina, 77 anni, è un personaggio noto alle cronache giudiziarie. Fu condannato per traffico di droga negli anni Novanta. Assieme a lui erano imputati l’ex sindaco del Comune di Castelvetrano Antonio Vaccarino, che per conto dei servizi segreti intavolò una corrispondenza con Messina Denaro con il nome di Svetonio, e gli uomini d’onore Nunzio Spezia e Franco Luppino. Messina, radiato dall’ordine professionale, vicino alla massoneria, nel giugno del 2021 era stato assolto dall’accusa di traffico internazionale di stupefacenti nell’ambito dell’inchiesta Eden 3 che ruotava proprio attorno alla figura di Matteo Messina Denaro.