“Oggi noi guardiamo la nostra città e vediamo tante macerie. Sant’Agata vuole che noi, alla luce del suo martirio, pensiamo alla liberazione della nostra patria, non da altro nemico che quello della rassegnazione, della sfiducia, del continuare che Catania venga distrutta dai suoi stessi cittadini, che rinunciano a darle una svolta”. Sono state dure parole quelle pronunciate da Luigi Renna nel discorso in piazza Stesicoro. L’arcivescovo di Catania prima della complicatissima salita dei cappuccini ha tracciato un quadro nerissimo della città, invitando i fedeli a reagire.
Questo il discorso integrale.
“Carissimi fratelli e sorelle,
popolo tutto di Catania e dei devoti che qui sono giunti per la festività di Sant’ Agata, Autorità civili e militari, presbiteri e diaconi, fedeli tutti,
dopo due anni il busto reliquiario della nostra Santa Patrona con il suo sguardo sereno che infonde speranza, torna ad illuminare le strade principali della nostra città, nelle quali, con gli occhi fissi nei suoi, torneremo ad affidarci a Lei con fede, esprimeremo gratitudine per il suo patrocinio, Le domanderemo quei beni che sono necessari a tutti e a ognuno.
Quando un popolo condivide una così grande devozione e persone di ogni età e condizione di vita si ritrovano fianco a fianco, si sentono non più individui isolati, ma popolo. Se qualche motivo ci ha diviso dagli altri, se il conflitto ha preso il sopravvento sulla concordia ed ha incrinato amicizie e progetti di vita condivisi, se la pandemia ha creato distanze, oggi è il giorno in cui sant’ Agata ci unisce e ci fa riscoprire popolo che appartiene a Dio, perché rinato nell’acqua del Battesimo, e comunità civile che ha a cuore lo stesso bene unico ed indiviso. Se il male, la violenza e l’assenza di cura della nostra Città hanno contribuito a disgregarci, questi sono i giorni in cui dobbiamo ritrovare il senso della nostra comune appartenenza e ripartire per costruire la vita civile della nostra Catania.
A Sant’ Agata è stata strappata prima la dignità di persona con le umiliazioni del carcere e la ferocia delle torture, poi la vita stessa a cui il tiranno Quinziano ha posto fine con la condanna al rogo della fornace. Di quale colpa si era macchiata sant’ Agata per meritare tutto questo? Semplicemente della coerenza alla sua fede in Cristo: quel battesimo che l’aveva resa figlia di Dio non è sceso a compromessi con chi voleva farle rinnegare prima i valori degni di una vita cristiana, poi il suo stesso credo. Cari fratelli e sorelle, quale altro modello migliore poteva avere il nostro popolo di Catania? Non una persona debole, che si lascia andare al compromesso e alla corruzione, ma una donna la cui fede è stata solida come una colonna di granito. Non una donna che alla prima difficoltà ha rinunciato alla sua coerenza, ma che è rimasta fedele, sfidando ogni avversità. Quanti di questi esempi ha la nostra Sicilia, non solo nel passato, ma anche nel presente, con i martiri che hanno sofferto e sono stati uccisi dalla mafia, come il beato Rosario Livatino di Canicattì, o che hanno rinunciato a tutto per condividere i loro beni con i poveri, come fratel Biagio Conte che ha fondato la Missione di speranza e carità nella sua Palermo! In questa terra di Sicilia segnata da tante sofferenze e da violenza, Dio non ha fatto mancare il dono di Santi, che ci insegnano come si vive… Sì perché a volte noi non sappiamo più vivere da persone create ad immagine di un Dio d’amore. Non viviamo se abbiamo perso il centro della nostra vita che è il Signore; se non viviamo più nel rispetto e nell’amore del nostro prossimo; se contribuiamo ad alimentare l’ingiustizia e la creazione di disuguaglianza; se deturpiamo lo splendore della natura con scelte lente e poco coraggiose per non inquinarla.
Ma torniamo a sant’ Agata: secondo il racconto della sua Passione, dopo il martirio un angelo le pose accanto una iscrizione che da allora è diventata uno dei suoi simboli più eloquenti, ed è stata incisa su tante campane di tutta Europa, quasi ad indicare che il martirio è un costante richiamo alla nostra coscienza: “Mentem sanctam et spontaneum honorem et Patriae liberationem”. Con queste parole riconosciamo in sant’ Agata la rettitudine dei suoi propositi ( la mente santa), l’onore prestato a Dio senza indugio nel sacrificio della vita, la liberazione della sua patria, Catania.
Anche per noi vogliamo chiedere a Dio le stesse cose che hanno caratterizzato sant’ Agata: una mente retta, una fede che sa rendere onore a Dio, la liberazione della nostra Città. Ci sentiamo cittadini del mondo, e non ci sono estranee le sofferenze dell’umanità. Per questo preghiamo il Signore che per intercessione di sant’ Agata liberi il popolo ucraino e quello russo dalla follia della guerra e i Paesi della terra che vivono conflitti ritrovino la via della pace. E Catania, da cosa ha bisogno di essere liberata? Tante volte la nostra Città ha sperimentato la liberazione da calamità naturali, quali colate laviche e terremoti; anche quando queste l’hanno distrutta o provata, Catania è risorta, come la fenice, il mitico volatile che rinasce dalle sue ceneri, non poche volte utilizzato nell’iconografia cristiana per simboleggiare la Risurrezione e divenuto il segno di questa nostra città coraggiosa. In queste circostanze Sant’Agata ha liberato i catanesi dalla rassegnazione, dalla fuga verso luoghi più tranquilli, dall’affondare nel buio della mancanza di speranza.
Oggi noi guardiamo la nostra Città e vediamo tante macerie: quelle lasciate dal dissesto finanziario; della precarietà della politica, molto spesso noncurante dei tempi e dei modi della sua presenza; della diffusa illegalità; del degrado ambientale; dell’aumento della devianza minorile; della disoccupazione; della povertà economica che diventa una triste eredità che si lascia ai più giovani, soprattutto se questi lasciano la scuola già nella fanciullezza o nell’adolescenza ; dell’abbandono in cui versano le periferie. Questi temi sono stati posti all’attenzione di cittadini e candidati prima delle elezioni regionali, con documento che cattolici e uomini e donne di buona volontà hanno stilato e sottoscritto, sotto il titolo di “Non possiamo tacere”. Quelle parole hanno trovato una città stanca, così sfiduciata nelle prospettive che la politica poteva offrirle, da portarla a registrare uno delle più basse percentuali di partecipazione al voto della sua storia. Oggi Sant’Agata vuole che noi, alla luce del suo martirio, pensiamo alla liberazione della nostra patria, non da altro nemico che quello della rassegnazione, della sfiducia, del continuare che la città venga distrutta dai suoi stessi cittadini che rinunciano a darle una svolta.
Liberare la città significa ricostruirla con il senso di partecipazione alla vita pubblica, rifuggendo dalla sfiducia in noi stessi, nel futuro da costruire responsabilmente e con una più consapevole partecipazione a quello che è un diritto e un dovere: il voto libero e consapevole. Che città vogliamo costruire con l’intercessione e la forza che ci dà l’esempio di Sant’ Agata?
Noi abbiamo lo stesso potere di Agata, quello di non scendere a compromessi con il male e di scegliere il bene, sapendo che così facendo avremo dato un segno che la nostra fede cristiana non è un oppio che addormenta la coscienza, ma è quel sale che dà sapore alla società, soprattutto quando questa diventa povera di valori, tentata di tornare ad essere il governo di pochi che tengono soggiogati gli altri nella precarietà, in problemi che si tarda a risolvere perché hanno paura di gente istruita e libera. Noi possiamo costruire con il nostro modo di fare, o la città della confusione, come Babele, o della pace e del benessere, come Gerusalemme.
Di entrambe queste città ci parla la Bibbia. Di Babele, nel libro della Genesi si dice che gli uomini vollero edificare una città ed una torre che arrivassero fino al cielo (cf. Gn 11,49): era un luogo per organizzarsi senza Dio, costruito solo per farsi un nome, dove la superbia di chi vuole raggiungere il cielo è pari all’indifferenza verso gli altri, soprattutto se poveri. E’ l’immagine, quella di Babele, di una società che si vuole costruire senza il senso della fraternità, muovendo dall’avidità e dalla superbia. Il Signore confonde la lingua dei costruttori di Babele: la Sacra Scrittura ci presenta come una punizione quella che è sempre una conseguenza dell’individualismo: la divisione, l’esclusione di alcuni che diventano scarti, addirittura l’odio. Quando si agisce con superbia non si parla più la lingua della fraternità e del bene comune, e tutti diventano come lupi per gli altri uomini. Da questo stile vuole liberarci sant’ Agata e sentiamo come attuali le parole che fermarono il furore di Federico II, deciso a distruggere la Catania, quando vide comparire, secondo una pia leggenda, le parole: “Noli opprimere Civitas Agatahe…”: non voler opprimere la città di Agata. Noi chiediamo a sant’ Agata di far sentire forte le stesse parole nelle nostre coscienze: siamo i costruttori o gli oppressori della nostra stessa città? Siamo tra quelli che l’hanno distrutta e continuano a distruggerla con il malaffare, con la corruzione, con la debolezza del governare che non ha fatto scelte coraggiose per il suo sviluppo?
Noi possiamo invece costruire la città della pace: questo significa Gerusalemme, città della pace. Sentiamo come una promessa che si può realizzare anche per noi: la città dove “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri; delle loro lance ne faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra.” (Is 2,4). E’ la città nella quale si costruisce il bene di tutti, che non è solo di una parte, di un quartiere, di una categoria di persone, secondo criteri di fraternità e di amicizia sociale, così come ci ricorda papa Francesco. Non si può volere il benessere di via Etnea senza pensare al bene della Civita; non si può progettare quello delle scuole del Centro, senza quello degli edifici di zia Lisa o di Trappeto; non si può tenere in ordine le piazze centrali e dimenticare la piazza semibuia davanti a La Salette o antistante a san Cosimo. Il bene comune è bene indiviso, il bene del “noi tutti”, perché tutti il giorno di sant’Agata gridiamo “cittadini!”. Le risorse, che sono tante in una Città che potrebbe vivere di turismo, non siano appannaggio controllato da pochi, dilapidato dalla corruzione e dalla mafia, ma divengano il pane che sfama con una visione della città che fornisca infrastrutture e luoghi di vita alle immense periferie della città, dove operosi uomini e donne stanno cercando di organizzare il futuro, ma non possono farcela senza tutta la città; le spade e le lance che dicono tutto ciò che è divisione e spartizione, divengano condivisione. Così si rinnoverà il miracolo della patria di Agata liberata, quando diverrà come la città della pace e della concordia, animata dalla fraternità. Le parole di papa Francesco siano il suggello a questo mio discorso: “la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrari non c’è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte” (Fratelli tutti, 87). C’é bisogno perciò di creare una alleanza fra le generazioni: giovani e meno giovani, i nostri giovani vivaci e intelligenti, che possono essere fermati dall’emigrare solo se consegneremo loro la responsabilità di pensare e guidare, perché ne sono molto capaci. Occorre fare un’alleanza fra i quartieri, per non essere preda di coloro che vendono promesse che non realizzeranno mai perché fa loro comodo avere persone che non conoscono i loro diritti. Occorrono politici che sappiano studiare i mali di Catania e le loro soluzioni, che siano liberi da vincoli che li appiattiscono non sul presente, ma sul peggiore passato. Occorre che quando esclamiamo “Cittadini” e rispondiamo “viva sant’Agata”, sentiamo che Sant’ Agata ci chiama ad essere i cittadini che costruiscono la loro città, liberandola dalla lava nera che in questi anni l’ha sepolta. Il nostro “Viva Sant’ Agata” sia l’impegno quotidiano per Catania!”.