Sono sepolti sotto le macerie ma hanno ancora la forza di invocare aiuto i sopravvissuti, non si sa per quanto, al sisma che tra Turchia e Siria ha provocato secondo un bilancio ancora parziale oltre 9.500 morti, decine di migliaia di feriti e un numero imprecisato di dispersi tra cui un italiano, il veneto Angelo Zen. E lo fanno mandando note vocali, video, posizioni a parenti e amici. Tirateci fuori, è il grido che giunge da quell’anticamera dell’inferno fatta di lastre di cemento e tondini di ferro contorti dove il caso ha creato qualche precaria cella di sopravvivenza. Ma avvengono ancora salvataggi che sanno di miracolo: una bambina di circa 8 anni è stata salvata dopo essere rimasta intrappolata sotto le macerie per 40 ore a Salqin, una città nel nord ovest della Siria. Le immagini del Guardian mostrano il recupero stanotte da parte dei soccorritori della bambina con gli occhi sbarrati per lo choc ma in buone condizioni di salute.
“Ci dicono dove sono e non possiamo fare nulla”: l’amara riflessione di un giornalista turco, Ibrahin Haskologlu, alla Bbc dà voce ai tanti che in poco più di 24 ore sono passati dalla paura alla disperazione, alla rabbia per i ritardi negli aiuti che stanno condannando a morte molti scampati. Nonostante le centinaia di scosse di assestamento e il maltempo, in Turchia sono state salvate almeno 8.000 persone, ha detto il vice presidente Fuat Oktay. Tante, poche? Nessuno sa esattamente quanti siano i dispersi sotto le macerie tra Turchia e Siria, ma l’Oms grazie alla mappatura delle terribili scosse che hanno squarciato centinaia di chilometri di crosta terrestre ha azzardato la stima di 23 milioni di persone in qualche modo coinvolte.
E per le ricerche dell’unico disperso italiano la Farnesina è in contatto anche con la protezione civile turca, come ha riferito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha riportato la richiesta di riserbo della famiglia del 50enne Angelo Zen. “Per adesso è soltanto non rintracciabile”, ha spiegato Tajani, precisando che nella zona di Kahramanmaras, dove è crollato il suo albergo, “non ci sono collegamenti telefonici o internet”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato lo stato di emergenza per tre mesi nelle 10 province del Sud est della Turchia dove l’ultimo bilancio parla di oltre 5.400 morti. Tra le decine di squadre di soccorso che stanno arrivando in Turchia da tutto il mondo c’è anche il contingente italiano di vigili del fuoco sbarcato ad Adana e specializzato nella ricerca di dispersi sotto le macerie. Ma la logistica è complicata, il meteo inclemente e gli aiuti sembrano non bastare mai.
Chi è sopravvissuto e sa che sotto le macerie ci sono parenti e amici non si dà pace. “Ci hanno lasciato morire”, è il grido di una donna ad Antiochia tra le rovine di un condominio dove la gente scava a mani nude. E un’altra, Cagla Ezer, ha detto singhiozzando di aver sentito suo fratello implorare il suo nome dalle rovine del condominio dove abitava. “C’erano 25 persone solo in quell’edificio”, ha spiegato. “Ho provato a chiamare l’Afad”, il gruppo di coordinamento per le emergenze della Turchia, “ma non è venuto nessuno”. Una voce tra le tante. Ed Erdogan non si smentisce, usa il pugno duro anche in questo momento. La polizia turca ha avuto anche il tempo di arrestare quattro persone accusate di essere “provocatori che miravano a creare paura e panico” per alcuni post sui social, che si stanno riempiendo di proteste per i ritardi nei soccorsi.
Ancora peggiore la situazione in Siria, dove i morti continuano a crescere, l’opposizione al regime di Bashar al Assad denuncia che “centinaia di famiglie” sono intrappolate sotto le case crollate e i soccorsi internazionali incontrano, se non l’ostilità, una sorta di chiusura di Damasco che, afferma il portavoce della Commissione Ue Eric Mamer, non ha inviato l’indispensabile autorizzazione. E se dalla Turchia arriva la notizia del salvataggio, dopo 33 ore, di una madre e delle due figlie, e quella ancora più incredibile di una neonata con il cordone ombelicale ancora attaccato, qualche piccolo miracolo c’è anche nella devastata Siria. “Papà è qui, non avere paura”, sussurrano i soccorritori che a nord di Aleppo scavano con le mani, mentre emerge dai calcinacci il faccino impolverato solo con qualche graffio sporco di sangue di Nour, una bimba di 3-4 anni. E’ illesa, e dal video che gira sui media sembra quasi di udire il sospiro di sollievo, di vivere l’emozione di un salvataggio che ha il sapore di una nuova nascita.