Una pratica chirurgica con la quale si vanno, letteralmente, a “tagliare i rifornimenti al tessuto in eccesso”, che muore e viene progressivamente riassorbito, rimpicciolendosi. E’ una procedura a bassa invasività che viene implementata per la prima volta al Policlinico di Catania per trattare l’ipertrofia prostatica, sempre più diffusa anche a ragione dell’aumento della vita media della popolazione. L’ipertrofia prostatica benigna (o adenoma prostatico) è una condizione caratterizzata dall’aumento delle dimensioni della ghiandola. Colpisce il 5-10% degli uomini di 40 anni, e fino all’80% degli uomini tra i 70 e gli 80 anni. Alle terapie tradizionali basate sui farmaci e la chirurgia, si è affiancato negli ultimi anni un trattamento mini-invasivo che sta registrando ottimi risultati: è l’embolizzazione.
La novità per il Policlinico è frutto della collaborazione multidisciplinare tra l’Unità Operativa Complessa di Urologia del “Rodolico” diretta da Sebastiano Cimino che per questo progetto si avvale in particolare del lavoro dell’urologo Salvo Virgillito, e l’Uoc di Radiologia diretta da Antonello Basile, il quale in questa procedura è coadiuvato dal radiologo Francesco Vacirca, sempre nel presidio di via Santa Sofia (nella foto da sn Vacirca, Basile, Cimino e Virgillito). “La tecnica – spiegano i direttori Cimino e Basile – prevede una piccola incisione cutanea nella coscia e l’introduzione di un microcatetere nell’arteria femorale. Dalla sonda radioguidata sino alle arterie prostatiche, viene iniettato idrogel o alcool che determina l’occlusione dei vasi e il successivo minor apporto di sangue nella ghiandola. Il risultato è il significativo decremento volumetrico di quest’ultima e il netto positivo cambiamento della qualità di vita del paziente”.
“Nell’adenoma – aggiungono – dopo la valutazione urologica del paziente volta da un lato a escludere altri quadri patologici, dall’altro a determinare il grado di incremento volumetrico della ghiandola e la severità dei sintomi ad esso associati, il trattamento resta inizialmente di tipo medico-farmacologico. In particolar modo rappresentato da α-litici, inibitori della 5-α reduttasi. Tuttavia, nei casi più sintomatici e non responsivi alla terapia medica, la chirurgia resta l’opzione più valida”.
Attualmente il trattamento chirurgico dispone di diverse tecniche, più o meno invasive, tra cui quelle endoscopiche, laser, laparoscopiche-robotiche e, infine, la chirurgia open. “Con l’embolizzazione prostatica si compie un significativo passo in avanti – concludono gli specialisti – poiché essa rappresenta una procedura sicuramente da preferire per la sua scarsa invasività. La tecnica è indicata soprattutto in quei pazienti con diverse comorbidità, in quelli con severe turbe della coagulazione, ad alto rischio anestesiologico, con prostate voluminose (superiori a 80 gr), o in pazienti avanti con l’età, con volontà di mantenimento della funzione sessuale (eiaculazione anterograda)”.