“Eravamo un banchiere, un comico e un fisico. Draghi mi faceva un sacco di complimenti. Mi ripeteva che avevo idee grandiose, che ero avanti. Ci scambiavamo messaggi, e lui ha proposto di darci del tu. Una volta mi ha detto addirittura che aveva un appartamentino a Roma che nessuno conosceva e che potevamo vederci lì”. Nel circolo ristretto di devoti che ancora non lo mollano, fin quasi a riempire il Metropolitan di Catania, Beppe Grillo consegna le sue scuse.
Ha 75 anni, se all’apice dei suoi proseliti non aveva voglia di politicheggiare in prima fila (“Anche perché quelli che restano davvero nella storia non appaiono, vedi Mina e Salinger”), ancora meno adesso che si sente tradito. Innanzitutto da Draghi, che nei suoi racconti lo blandiva insieme con Cingolani: “Un po’ come Giuda con Gesù”, lo stesso Gesù che Grillo molti anni fa aveva impersonato (“Ve lo ricordate il film di Comencini? Sul set c’era anche il nipote, il piccolo Calenda, e quando qualcuno urlava ‘Azione!’ partiva con un comizio”).
Ma tradito pure dai siciliani, “dai quali mi sarei aspettato grandi accoglienze, abbracci e ringraziamenti, dopo che per voi ho attraversato lo Stretto a nuoto. Che so, qualcuno che mi dicesse ‘Minchia, senza di te non avrei mai avuto il reddito di cittadinanza’. Invece niente”. Ce n’è abbastanza per lasciare la politica quasi totalmente fuori dalla stentata ora e mezza di “Io sono il peggiore”, la versione ridimensionata – anche nella durata – degli spettacoli fastosi del Palacatania in cui per più di due ore gridava come un ossesso e una parola su due era Berlusconi.
Nel 2023 Silvio nemmeno nominato, chi lo doveva dire? Pure Meloni, manco sfiorata. E neppure un urletto o uno spettatore massacrato con l’ascella in faccia o il famoso “Cosa guardi il maxi schermo? Io sono qua davanti a te!”. Ora addirittura col pubblico discute davvero.
Insomma, a ogni show teatrale la domanda è la stessa: Grillo è finito? Non ancora, finché ci sono le risate e tanti pensieri meno convenzionali, tra tecnologia, religione, cellulari e trasporti (“Undici ore di treno da Palermo a Trapani: se il mondo va verso la lentezza, voi siciliani siete avanti 50 anni”).
Ma in teatro una malinconia da “sono finiti i bei tempi” si avverte: “Noi del Movimento – è la risposta alla domanda silente – abbiamo fatto tante cose buone e stanno cercando di cancellarle tutte. Mi sono defilato, ma almeno la memoria devo cercare di salvarla”. Sarà perché approvano, o forse semplicemente perché è presto; fatto sta che ai saluti delle 22.35 nessuno si schioda dalle sedie. Dai, tornerà, come faceva una volta con i suoi tanti bis. Invece l’illuminato stavolta non torna.
(foto di Luigi Saitta)