Per uno abituato a stare ai piani alti della gerarchia mafiosa, amato e accudito come un capo, l’arresto costituiva una mortificante resa allo Stato. E siccome il male era diventato ormai una minaccia implacabile Matteo Messina Denaro aveva deciso: piuttosto che finire in un furgone dei carabinieri, com’è poi accaduto, si sarebbe suicidato. Insomma, dal percorso cominciato trent’anni fa con una latitanza finita in una clinica oncologica non sarebbe uscito vivo. Lo scrive con una punta di orgoglio alla sorella Rosetta, arrestata nei giorni scorsi, che custodiva in mille pizzini i suoi segreti.
La lettera sembra un legato testamentario: “Non morirò di tumore, appena non ce la faccio più mi ucciderò a casa e mi troverai tu. Ti dirò quando arriverà il momento”. Nel covo di Campobello di Mazara c’era la Smith & Wesson che avrebbe permesso al boss di prendere congedo dal mondo con un gesto estremo da eroe solitario. Sognava un’uscita di scena simile a quella del padre Francesco, patriarca della cosca di Castelvetrano. Anche lui da latitante, era stato stroncato da un infarto. I carabinieri trovarono in campagna la sua salma, già composta con abito nuovo e cravatta. Finiva così una gloriosa carriera ma almeno don Ciccio aveva beffato lo Stato evitando l’arresto. Aveva pure risparmiato ai suoi amici di rispondere del loro sostegno.
A Matteo Messina Denaro neanche questo è stato possibile. Lo dimostrano, oltre alla scoperta del covo, la catena di arresti e di guai che non risparmia praticamente nessuno. I pizzini stanno alzando il velo sulla rete di protezione ma anche di intimità che proteggeva l’ultimo padrino latitante. Tra le persone a lui più vicine, oltre ad Andrea Bonafede che gli ha passato la propria identità, c’era l’insegnante Laura Bonafede, cugina di Andrea e figlia del boss deceduto Leonardo, grande amica di Messina Denaro. Con lui si incontrava tra gli scaffali di un supermercato e scambiava messaggi firmandosi al maschile.
Tanto non è però bastato a evitarle di essere indagata e ora di essere sospesa dalla scuola ‘Capuana-Pardo’ di Castelvetrano per dieci giorni. Il provvedimento cautelare è stato adottato dal dirigente scolastico Vania Stallone, dopo la “vasta eco mediatica suscitata dal presunto legame dell’insegnante con il boss mafioso Matteo Messina Denaro e al fine di tutelare l’immagine della scuola e di garantire il sereno svolgimento dell’attività scolastica”. Non basta, dice l’assessore regionale all’istruzione, Mimmo Turano che chiederà al ministro Giuseppe Valditara misure più dure per impedire che “questa persona non abbia più alcun contatto con il mondo della scuola”.
Avrebbero molto da dire anche i vivandieri di Messina Denaro, Lorena Lanceri e il marito Emanuele Bonafede, che lo ospitavano a casa a pranzo e a cena. Lei avrebbe avuto con il boss anche un rapporto personale. Ma per ora marito e moglie non parlano. Non hanno risposto al gip Alfredo Montalto che era andato a interrogarli in carcere.