Un viaggio nel ghetto dei braccianti agricoli migranti nella zona tra Gela e Ragusa, dove migliaia di uomini lavorano senza diritti o tutele e sono costretti a vivere in tuguri senza luce o acqua, privi di cibo e vestiti, in condizioni terribili e nell’indifferenza delle istituzioni. Si tratta per lo più di tunisini e magrebini arrivati in Sicilia regolarmente nei primi anni 2000 e poi risucchiati dal caporalato e dal lavoro nero, perdendo permesso di soggiorno e ogni tipo di diritto, perché qui tra le serre i diritti non esistono.
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Con il passare del tempo le serre diventano un limbo da cui è complicato uscire. Senza diritti e tutele finiscono così ad abitare in ruderi abbandonati. Molti di loro occupano le tante case rurali abbandonate tra le serre, altri vivono a ridosso della città, come a Vittoria, dove diverse decine di migranti vivono in un complesso abbandonato, a pochi metri dalla stazione ferroviaria, tra rifiuti e amianto.
Gran parte di loro sono assunti in nero perché senza documenti. Altri, in condizioni leggermente migliori, rientrano nel cosiddetto lavoro grigio: vengono assunti regolarmente al massimo per 102 giornate lavorative per poter chiedere la disoccupazione agricola, ma in realtà lavorano almeno il doppio, a volte tutto l’anno senza riposo. Di loro si occupano solo pochi volontari. Finora nessuno è riuscito a ribaltare o quanto meno migliorare questo sistema economico che si regge sullo sfruttamento. E questo purtroppo, assieme all’indifferenza, contribuisce a rendere i braccianti ancora più sfruttati, deboli e ricattabili.