Come tutti gli storici latitanti mafiosi, costretti a trovare il modo per comunicare nonostante la vita alla macchia, anche Matteo Messina Denaro usava i ‘pizzini’. Decine quelli scoperti dopo l’arresto dell’ex latitante. Messaggi arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti, e indirizzati a destinatari indicati con nomi in codice di “Fragolone (soprannome della sorella Rosalia ndr), Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela”. I pizzini venivano veicolati attraverso una catena, più o meno lunga, di fedelissimi, che lo stesso boss, nei suoi scritti, definiva ‘tramiti’. Nel sistema del latitante finora ancora più impenetrabile di quello degli altri capi, però, c’era una falla. Per anni Messina Denaro ha adottato mille cautele, prima fra tutte quella di non lasciare traccia dei biglietti che venivano rigorosamente distrutti dopo la lettura.
Stavolta però il boss è stato il primo a non osservare la regola “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”. Un errore che ha commesso anche la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”. Errori che hanno consentito ai carabinieri di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”.
IL PIZZINO DI MATTEO SULLA FIGLIA LORENZA. Che i rapporti con la figlia naturale Lorenza del boss Matteo Messina Denaro non fossero buoni era noto. La riprova è in un pizzino del capomafia trovato alla sorella, Rosalia. Il capomafia racconta di aver letto il necrologio che la nipote del mafioso Leonardo Bonafede aveva fatto dopo la morte del nonno. “Ah, questa ragazza è cresciuta senza padre, lo arrestarono il padre quando lei era molto piccola”, racconta Messina Denaro. “Dai conti che faccio è poco più grande di Lorenza, quindi stessa generazione, e sicuramente si conoscono arche perché andavano nello stesso liceo negli stessi anni. Quello che so di questa ragazza: è cresciuta con la madre, ha studiato, ha fatto il liceo scientifico, poi si è laureata in Architettura credo, e oggi lavora sfruttando la sua laurea – spiega -. Fu sempre fidanzata con lo stesso ragazzo, un paio di anni fa si è sposata con lo stesso, e la scorsa estate ha avuto una bambina. Vi ho raccontato la storia di lei perché ha fatto il necrologio, ma vi potrei raccontare la storia di tante con il padre assente e della stessa generazione, perché sono informato di tutte quelle a cui manca il padre”. “Ebbene – sbotta -, nessuno ha fatto la fine di Lorenza, sono tutte sistemate, che voglio dire? È l’ambiente in cui cresci che ti forma, e lei è cresciuta molo male”. Riferendo una frase del necrologio in cui la Bonafede si dice onorata di appartenere al nonno, il boss conclude: “La mancanza del padre non è di per sé motivo di degenerazione educativa, è solo Lorenza che è degenerata nell’intimo, le altre di cui so sono tutte cresciute onestamente”.
“PERSEGUITATI DALLO STATO”. “Essere incriminati di mafiosità, arrivati a questo punto lo ritengo un onore. Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie. Trattati come se non fossimo della razza umana. Siamo diventati un’etnia da cancellare. Eppure, siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo. Siamo siciliani e tali volevamo restare”. Così scriveva il boss Matteo Messina Denaro in un messaggio rivolto ai suoi familiari e trovato nel corso dell’inchiesta. “Hanno costruito una grande bugia per il popolo. Noi il male, loro il bene. Hanno affossato la nostra terra con questa bugia – proseguiva -. Ogni volta che c’è un nuovo arresto si allarga l’albo degli uomini e delle donne che soffrono per questa terra. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciare passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza. Questo siamo e un giorno sono convinto che tutto ci sarà riconosciuto e la storia ci restituirà quel che ci ha tolto la vita”.
“NON SARO’ MAI DIMENTICATO”. Il capomafia Matteo era solito appuntare anche riflessioni e pensieri esistenziali. “Non si deve mai ritornare da una persona dalla quale ci siamo allontanati. E’ una regola della mia vita – si legge in un altro pizzino -. Ho pochissime regole di vita e questa è una. Arrivato a un certo punto della mia vita ho pensato che il mondo fosse da qualche altra parte e che da quell’altra parte ormai non ci fossero più strade che conducessero fino a me”. “Ma comunque un essere umano muore veramente quando viene dimenticato e io credo che non lo sarò mai – scriveva -. Le persone che ho amato, i miei affetti, non si dimenticheranno mai di me. Ho conosciuto tante persone coraggiose con le pecore e pecore con le persone coraggiose. Ho sempre disprezzato questo modo di vivere, che schifo”. E ancora: “Ho sempre pensato sarebbe bene sapere quando è la mia ultima notte sulla terra piuttosto che venire investito o qualcosa del genere. La vita è più complessa di una promessa”. Infine il giudizio sul padre, il capomafia morto latitante: “Non ci sono più persone come mio padre. Quel genere di persone è sparito per sempre”.