PALERMO – Roberta Siragusa, la ragazza di 17 anni uccisa a Caccamo la notte tra il 23 e il 24 gennaio 2021, prima di essere bruciata era stata colpita più volte al viso e tramortita. Nell’auto, come accertato dai carabinieri del Ris di Messina, sono state trovate tracce di sangue sia di Roberta che di Pietro Morreale, il giovane condannato all’ergastolo dalla seconda sezione della Corte d’assise di Palermo. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza.
Dopo le botte Roberta è stata distesa sul terreno nei pressi del campo sportivo di Caccamo. Si era in piena pandemia e Morreale, secondo quanto ricostruito nel corso del processo, sapeva bene che a quell’ora non ci sarebbe stato nessuno in quella zona isolata dove si era appartato con Roberta. A riprendere la scena del delitto sono state le telecamere di un locale. Il corpo di Roberta era rannicchiato e non è possibile stabilire se la ragazza avesse fatto finta di essere morta per cercare di salvarsi.
Ma Monreale, come stabilisce la sentenza, aveva chiaro già il progetto di ucciderla. Aveva con sé da qualche giorno in auto una bottiglia di benzina e a un amico aveva detto che sui social avrebbe letto la notizia di un giovane che si è dato fuoco. Per la difesa è stata Roberta a versarsi la benzina e darsi fuoco. Per l’accusa è stato Pietro a ucciderla: le avrebbe dato fuoco attorno alle 2.09 della notte e nel filmati si vede il corpo in fiamme che si alza, percorre 30 metri e dopo 27 secondi cade a terra per bruciare altri sei minuti.
Per i giudici ad accendere l’innesco è stato Morreale, ma non si vede il momento perché il giovane è nascosto da un muretto. Una ricostruzione che combacia con quella fatta dal comandante della sezione chimica esplosivi infiammabili del Ris. Dopo essersi allontanato più volte, solo attorno alle 3.39 Pietro avrebbe abbandonato il corpo a Monte Rotondo, tornando a casa come se nulla fosse successo.