PALERMO – Nell’aula bunker di Palermo si sono svolte le manifestazioni in ricordo delle vittime della strage di Capaci del ’92 e di quelle che insanguinarono l’Italia nell’anno successivo. Davanti all’edificio, che ospitò il maxi-processo alla mafia, è stato montato un palco dedicato ai ragazzi, agli 80 baby sindaci con fascia tricolore provenienti da tutta Italia e delegazioni delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco. Con loro, tra gli altri, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Le manifestazioni di oggi sono organizzate dalla Fondazione Falcone promossa da Maria, sorella del giudice ucciso a Capaci.
PIANTEDOSI: “IMPARARE DAGLI INSEGNAMENTI DI FALCONE”. Una corona d’alloro è stato deposta subito dopo il suo arrivo a Palermo dal ministro Piantedosi, davanti alle stele di Capaci. Alla cerimonia erano presenti il capo della polizia Vittorio Pisani, il prefetto Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia, il prefetto di Palermo Maria Teresa Cucinotta, il questore di Palermo Leopoldo Laricchia e la vedova del caposcorta di Falcone, Tina Montinar. “La celebrazione di questa ricorrenza importantissima mi piace non solo per l’onore di partecipare come ministro dell’Interno – ha detto Piantedosi -, ma è anche di un anno importante fatto di risultati conseguiti nella lotta alla mafia e non mi riferisco soltanto a quelli di qualche mese fa. Il coordinamento della polizia giudiziaria è molto importante, quindi più che esprimere un grande onore è un grande piacere di aver accolto l’invito della professoressa Falcone. Mi stavano descrivendo le condizioni di questo posto bellissimo”.
“L’arresto di Matteo Messina Denaro significa la chiusura di una pagina e l’inizio di una nuova storia. La mafia uccideva colpendo i valori fondamentali della società civile con vittime importanti come i servitori dello Stato. Adesso la battaglia prosegue perché la mafia si è evoluta, è cambiato il suo modo di agire. Il ruolo dello Stato e delle istituzioni – ha aggiunto – è adattarsi anche a questo mutare della mafia e non retrocedere. Come disse Falcone: ‘La mafia è un fenomeno umano e come tale è destinato a finire’. Però fino a che ci sarà l’ultimo granello di presenza, lo Stato ci metterà l’ultima goccia di sudore per combatterlo”.
“Dall’insegnamento di personalità come Falcone abbiamo imparato negli anni a seguire i percorsi economici criminali che interessano la mafia, e riuscire a preservare i punti legali delle istituzioni o infiltrazioni nelle istituzioni. Credo sia un fenomeno che può preoccupare, ma bisogna rassicurare i cittadini perché il nostro Paese manifesta la capacità di contrastare anche questo modo più insidioso di agire della mafia. Ci incoraggia proseguire verso il futuro anche nel segno del grande messaggio, del grande insegnamento che ci hanno dato uomini importanti dello Stato come Falcone e Borsellino. La mafia è cambiata, con Matteo Messina Denaro la pagina del libro si è chiusa, ma si è anche girata”.
SCONTRO FALCONE-MORVILLO. Ed è scontro proprio tra Maria Falcone e Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, cognato di Giovanni Falcone. “In questa città aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole?”. E’ la domanda posta, sulle pagine di Repubblica Palermo, da Alfredo Morvillo. “È il tempo di andare avanti – scrive Maria Falcone, sorella di Giovanni, sempre sullo stesso quotidiano – di perseverare nella ricerca della verità e al contempo smettere di usare l’antimafia per fare carriera, per fare passerella”. Ad accendere il dibattito su posizioni diverse tra i familiari di due delle vittime della strage di Capaci c’è il sostegno alla giunta di centrodestra di Palermo del sindaco Roberto Lagalla da parte di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, politici condannati per fatti di mafia.
“Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia” dice Morvillo, ex procuratore di Trapani. Le sue parole suonano anche come una critica, neanche troppo velata, a Maria Falcone che durante la campagna elettorale dell’anno scorso si scagliò contro gli impresentabili (“La politica non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono”) e che quest’anno ha firmato un accordo con Lagalla per realizzare un nuovo museo dell’antimafia. “È il tempo di non abbassare la guardia – spiega Maria Falcone – e al contempo costruire ponti tra le diverse componenti sociali, pretendere impegni da chi vuole unirsi allo sforzo del cambiamento, senza criticare a priori, magari rianimati da una certa nostrana acida propensione alla presunzione”.
MUSEO DELLA LEGALITA’. “Oggi è la posa della prima pietra del museo che verrà realizzato in questo antico palazzo, nel rione dove mio fratello è nato”, ha detto Maria Falcone nel corso della cerimonia che si è svolta a Palazzo Jung, dove verrà realizzato un Museo della Legalità dedicato a tutte le vittime della mafia, alla presenza del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, del presidente della Regione Renato Schifani, del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno e del sindaco Roberto Lagalla. “Mi commuove guardare oltre la siepe – ha aggiunto la sorella del magistrato – e vedere che lì dietro c’era la palestra dove Giovanni andava a fare ginnastica. Era il mio quartiere, a due passi c’era la nostra casa in via Castrofilippo n. 1”.
“È importante dire al mondo – ha poi osservato Maria Falcone – che le stragi del ’93 facevano parte di una strategia di grande profilo per la mafia che cercava di colpire l’Italia in quello che era il suo patrimonio artistico. Quelle stragi rappresentano un’escalation di una mafia che voleva mettere in ginocchio il nostro Paese, ma non ci sono riusciti. E se noi dopo 30 anni continuiamo a parlare di uomini come Giovanni, Paolo, Francesca, tutti i ragazzi della scorta, tutti quei morti che furono chiamati ‘la mattanza siciliana’, li piangiamo con conforto perché dietro di noi ci sono i giovani che saranno in grado di cambiare questo Paese”.
Maria Falcone ha poi illustrato gli obiettivi del progetto. “Vogliamo creare un museo che non parli solo di morte, sangue e dolore, ma che faccia capire. Un po’ come gli eroi del nostro Risorgimento italiano che rappresentavano lo spirito, la forza, l’animo di volere un’Italia indipendente. Ora devono essere i giovani a salvare la nostra Costituzione portando avanti i suoi principi, così che la Sicilia diventi una terra diversa. Non sarà solo memoria di dolore, ma voglia di cambiamento. E dobbiamo far sì che i nostri giovani venendo a Palermo, creando sedi anche a Roma e Bolzano, abbiano la possibilità di confrontarsi con giovani di altre città. Per fare l’Italia unita – ha concluso – bisogna far dialogare i giovani”.
IL MESSAGGIO DI MATTARELLA. “Magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno demolito la presunzione mafiosa di un ordine parallelo, svelando ciò che la mafia è nella realtà: un cancro per la comunità civile, una organizzazione di criminali per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una dichiarazione in occasione del 31/mo anniversario della strage di Capaci. “L’azione di contrasto alle mafie va continuata con impegno e sempre maggiore determinazione. Un insegnamento di Giovanni Falcone resta sempre con noi: la mafia può essere battuta ed è destinata a finire”, aggiunge. “Il 23 maggio di trentuno anni fa – ricorda il capo dello Stato – lo stragismo mafioso sferrò contro lo Stato democratico un nuovo attacco feroce e sanguinario. Con Giovanni Falcone persero la vita sua moglie Francesca Morvillo, magistrata di valore, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, che lo tutelavano con impegno. Una strage, quella di Capaci, che proseguì, poche settimane dopo, con un altro devastante attentato, in via D’Amelio a Palermo, nel quale morì Paolo Borsellino, con Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina”.
“A questi testimoni della legalità della Repubblica, allo strazio delle loro famiglie, al dolore di chi allora perse un amico, un maestro, un punto di riferimento, sono rivolti i primi pensieri nel giorno della memoria – dice ancora Mattarella -. Quegli eventi sono iscritti per sempre nella storia della Repubblica. Si accompagna il senso di vicinanza e riconoscenza verso quanti hanno combattuto la mafia infliggendole sconfitte irrevocabili, dimostrando che liberarsi dal ricatto è possibile, promuovendo una reazione civile che ha consentito alla comunità di ritrovare fiducia. I criminali mafiosi pensavano di piegare le istituzioni, di rendere il popolo suddito di un infame potere. La Repubblica seppe reagire con rigore e giustizia. La mafia li ha uccisi ma è sorta una mobilitazione delle coscienze, che ha attivato un forte senso di cittadinanza. Nelle istituzioni, nelle scuole, nella società civile, la lotta alle mafie e alla criminalità è divenuta condizione di civiltà, parte irrinunciabile di un’etica condivisa”.
SCONTRI CON LA POLIZIA. In quattromila nel pomeriggio sono partiti dall’aula bunker, raggiungendo in corteo l’albero Falcone. A sfilare soprattutto i giovani, gli studenti delle scuole di tutta l’Italia, ma anche delle parrocchie, i ragazzi degli scout e delle associazioni di volontariato. E poi decine di baby sindaci con la fascia tricolore. Alle 17.58 le note del silenzio, nell’ora esatta della strage di Capaci. Intanto alcune centinaia di partecipanti a una ‘contromanifestazione’ promossa da Cgil, comitati studenteschi e movimenti di sinistra, tentavano di raggiungere l’Albero Falcone, ma sono venuti a contatto con le forze dell’ordine. Il corteo, partito dall’università, avrebbe infatti dovuto sciogliersi prima ma i manifestanti hanno cercato di forzare il cordone di polizia formato da agenti in assetto anti sommossa. Una contestazione, sia pure a distanza rispetto alla cerimonia ufficiale, con slogan come “Fuori la mafia dallo Stato”. Durante la contestazione sono rimasti feriti un funzionario della Polizia e altri due poliziotti che hanno riportato prognosi che vanno dai 10 ai 15 giorni. “È in corso l’analisi delle immagini – dicono dalla Questura – al fine di ricostruire puntualmente i fatti, delineare i profili di responsabilità penalmente rilevanti e individuare i responsabili dei disordini che hanno portato al ferimento di tre poliziotti, proprio nel giorno in cui tutto il Paese fa memoria e ricordo di tre poliziotti caduti per fare il loro dovere”.