È il 3 settembre del 2016. Nicola Accardo e Antonino Triolo, due mafiosi di Partanna, nel Trapanese, parlano non sapendo di essere intercettati. “Dice che Matteo era in Calabria ed è tornato…”, rivela Accardo. Gli investigatori non hanno dubbi: si tratta di Matteo Messina Denaro, all’epoca ricercato numero uno in Italia. Una pista tornata d’attualità quella calabrese perché dagli ultimi elementi raccolti dagli inquirenti emerge che l’ultima tappa della latitanza del padrino di Castelvetrano, prima del suo trasferimento a Campobello di Mazara, è stata proprio la Calabria.
Grazie alla protezione della ‘ndrangheta, Matteo Messina Denaro si sarebbe rifugiato tra Lametia Terme e Cosenza, città in cui il boss avrebbe avuto anche diversi affari: da quello dei traffici di droga in cui le ‘ndrine hanno ormai conquistato un ruolo di primo piano, alla realizzazione di un villaggio turistico e di impianti eolici, business sul quale il capomafia, attraverso l’imprenditore Vito Nicastri, avrebbe investito anche in Sicilia. Ma, mentre quella trascorsa da Messina Denaro a Campobello è stata quasi una vita normale, in Calabria, secondo gli investigatori, il capomafia avrebbe avuto una latitanza simile a quella del suo storico alleato corleonese, Bernardo Provenzano, costretto a nascondersi e a spostarsi più volte.