“Mi chiamo Matteo Messina Denaro, lavoravo in campagna ed ero un agricoltore. La residenza non ce l’ho più perché il Comune mi ha cancellato. Ormai sono un apolide. Le mie condizioni economiche? Non mi manca nulla. Avevo beni patrimoniali ma me li avete tolti tutti. Se ancora ho qualcosa non lo dico, mica sono stupido”. Comincia così l’interrogatorio inedito del boss Matteo Messina Denaro sentito il 21 febbraio scorso dal gip Alfredo Montalto e dal pm Gianluca De Leo nell’ambito di un procedimento penale in cui il capomafia risponde di estorsione aggravata.
“Ha dei soprannomi?”, gli chiede il magistrato. “Mai, me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi”, risponde il boss che, al contrario di quanto ammette, dai suoi era chiamato ‘U siccu’ e Diabolik. Al magistrato che gli domanda quale fosse la sua ultima residenza Messina Denaro replica: “A Campobello risiedevo da latitante, quindi di nascosto in segreto. L’ultima residenza che ho avuto da uomo libero è a Campobello”.
Nel merito delle accuse – al padrino si contesta aver minacciato la figlia di un prestanome, Giuseppina Passanante, e il marito per riavere un terreno a loro intestato fittiziamente – Messina Denaro smentisce ogni responsabilità sostenendo di essersi limitato a scriverle una lettera per riavere ciò che era suo. Toni bruschi, a tratti irriverenti, il capomafia nega di appartenere a Cosa nostra, di cui sa solo dai giornali.
L’interrogatorio è stato depositato oggi. “Ognuno risponde con la propria dignità di quel che fa”, dice rivendicando la legittimità delle sue azioni. “Ascolti, questo terreno è stato comprato da mio padre nel 1983. – dice -. Mio padre era amico del padre della signora Passanante, che oggi è pure morto, e allora ha chiesto ad Alfonso Passanante, che conoscevo pure io, se poteva fare il favore di intestarsi questo bene, e il Passanante ha detto sì. Si intestò il bene, cioè si fece l’atto e lui conduceva le operazioni in campagna e aveva a che fare con me per i conti che dovevamo fare. A un tratto succede tutto quello che succede, e cioè che il tempo passa, passano gli anni, si arriva agli anni 90, mio padre è latitante, il Passanante è in carcere. Io sono pure latitante”.
“E a un tratto so, per vie traverse, non tramite la signora Passanante, né tramite il papà che era ancoro vivo anche se in carcere – prosegue il boss – che tutti i loro beni sono stati ipotecati da alcune banche, per vicende loro che a me non interessano e nemmeno so, quindi questo terreno fu pure ipotecato, però io non dissi nulla e non feci nulla, perché lui era in carcere, quindi che dovevo dire? Andava cosi. Naturalmente la signora Passanante, in tutti questi anni di mia assenza, si tenne sempre tutto il profitto di questo terreno, e mai nessuno le chiese nulla”.
Poi il boss spiega la decisione di scrivere alla donna per riavere il terreno. “Negli ultimi anni, vengo a sapere che lei stava vendendo il terreno. Tra parentesi avevano l’affare concluso sotto prezzo, perché lei che cosa voleva fare, prendersi questi soldi di questo terreno, cioè lo rubava, e pagarsi il mutuo. E avrebbe pagato tutto con i miei beni. Arrivati a un dato punto, questi sono discorsi per me non onesti, perché le persone agiscono come vogliono, ma va bene cosi, ognuno poi risponde con la propria dignità delle cose che fa, nel bene e nel male. E allora che cosa ho fatto, l’ho contattata, con una lettera, e gliel’ho firmata, non ho detto pseudonimi, firmato con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti”.