MILANO – Aveva paura per sé e per Giulia, perché non sapeva “che fine avesse fatto” la ragazza che aveva visto poche ore prima e perché non sapeva “di che cosa fosse capace” Alessandro Impagnatiello. Tant’è che, viste le richieste pressanti di lui di poterla vedere in piena notte, un collega l’ha accompagnata a casa: perché anche sul posto di lavoro “erano preoccupati”. A ricostruire le ore drammatiche tra il 27 e il 28 maggio è la ragazza con cui il barman del Bamboo Bar dell’Armani Hotel, che ha ucciso la sua fidanzata Giulia Tramontano al settimo mese di gravidanza, aveva una relazione parallela. La 23enne mercoledì scorso davanti agli investigatori ha ripercorso quello che è accaduto quattro giorni prima, fornendo dettagli importanti per consentire ai pm di fermare poco dopo Alessandro.
Quel sabato pomeriggio, dopo aver scoperto tutto “dalle varie menzogne che mi aveva raccontato”, ha deciso di dare appuntamento a Giulia. Non credeva più che davvero avesse chiuso con la sua compagna e men che meno che non fosse il padre di quel bimbo: “Eravamo entrambe vittime di un bugiardo”. Proprio vicino all’albergo dove Impagnatiello e lei lavoravano, le due ragazze si sono viste. “Abbiamo chiacchierato tranquillamente. Siamo state insieme un’ora, dopo di che lei è andata via”. Un incontro “veramente cordiale” cominciato con un abbraccio “per solidarietà femminile” e concluso con la proposta di ospitarla a casa a dormire, se ne avesse avuto bisogno. Lei disse di non preoccuparmi, ringraziandomi”. Nel mezzo le confidenze sul tradimento. Giulia “mi ha detto che Alessandro non avrebbe mai visto il figlio – prosegue la giovane – e che a lei interessava solo il bimbo e la sua salute. Non sapeva se si sarebbe recata a Napoli dai suoi genitori ma sicuramente non voleva più vedere Alessandro. Sarebbe comunque tornata a Senago, dopo il nostro incontro, per parlare con lui e per lasciarlo”.
Invece lui all’ora di cena l’ha accoltellata e poi, facendo credere che si era allontanata da casa, ha cercato di bruciare il corpo e poi lo ha fatto sparire. Ha provato a convincere anche lei. In una videochiamata di 9 minuti in cui la ragazza chiedeva di Giulia e lui le diceva prima che dormiva in camera, poi che era andata da una amica, mentre in realtà era già morta. Ma la ragazza ormai non si fidava più di lui. Ha iniziato a registrare le conversazione, ha fotografato i guanti in lattice azzurri presi dal lavoro che gli spuntavano dallo zaino, ha messo in fila quegli attimi in cui, oltre alla preoccupazione per Giulia e per quel messaggio strano e freddo che le aveva inviato (in realtà era stato scritto dall’uomo), ha temuto anche per la sua vita. In piena notte “ho iniziato a scrivere ad Alessandro chiedendo dove fosse Giulia. Lui di contro ha iniziato a chiedermi di vederci perché voleva parlarmi da solo, senza di lei. Per mettere un punto a questa vicenda”.
“Le sue richieste – ha proseguito – erano talmente pressanti che mi ha accompagnato un collega a casa poiché anche loro erano preoccupati”. Impagnatiello si è presentato comunque davanti al suo portone: “Ha iniziato a citofonare – continua la ragazza -, e alla fine è salito e gli ho parlato attraverso le sbarre della finestra del ballatoio. Lui insisteva perché io lo facessi entrare, ma io non ho voluto perché avevo paura”. Timori che hanno avuto anche gli inquirenti e gli investigatori, che nelle ore successive lo hanno fermato. Messo alle strette, il barman ha confessato ma nella sua versione ci sono alcuni elementi che non tornano.
Già domani forse ci saranno gli esiti dell’analisi delle immagini delle telecamere installate tra Senago e Milano per verificare i suoi movimenti. Inoltre si stanno effettuando gli accertamenti per sapere a quali celle telefoniche erano agganciati i cellulari delle persone che il barman ha contattato la sera dell’omicidio e nei giorni successivi per capire se sia stato aiutato a disfarsi del cadavere. Le indagini coordinate dal pm Alessia Menegazzo e dall’aggiunto Letizia Mannella e condotte dai carabinieri puntano a ricostruire millimetro per millimetro quello che è accaduto, nella convinzione che ci sia stata premeditazione e crudeltà, aggravanti escluse dal giudice che ha convalidato il fermo e ordinato il carcere per il 30enne.