REGGIO CALABRIA – Sono stati arrestati dalla Polizia due presunti scafisti dell’imbarcazione di migranti che il 12 luglio scorso si è ribaltata al largo di Lampedusa provocando alcuni dispersi e la morte di un bambino di 4 anni. Il gruppo era stato soccorso da nave Dattilo della guardia costiera mentre era in viaggio per trasportare 500 migranti dall’hotspot di Lampedusa a Reggio Calabria ma per il piccolo, in viaggio con la madre, non c’era stato niente da fare. Adesso la Squadra mobile reggina ha arrestato due giovani della Sierra Leone, Mohamed Jor Ginho Cissay di 20 anni e Joseph Konteh di 19, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte come conseguenza dello stesso reato.
Nei confronti dei due, il gip ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e del sostituto Federico Sardegna. Già il 13 luglio, in base alle indagini condotte dalla squadra mobile di Reggio Calabria diretta da Alfonso Iadevaia, la Procura aveva disposto il fermo del presunto scafista ventenne arrivato a Reggio Calabria con nave Dattilo. Il provvedimento è stato quindi convalidato dal gip che ha disposto l’ordinanza di arresto anche per l’altro giovane, eseguito a Lampedusa dove l’indagato era stato fatto scendere per motivi sanitari. In Calabria, con nave Dattilo, sono arrivati 810 migranti di origine centroafricana, una parte dei quali (500) provenienti dall’hotspost di Lampedusa e circa 300 tratti in salvo durante la navigazione.
Tra le persone soccorse, quando l’unità navale era salpata dall’isola, vi erano alcuni naufraghi individuati nel tratto di mare tra Lampedusa e le coste della Tunisia. Nonostante la tempestività dell’intervento, secondo il racconto dei sopravvissuti, alcuni migranti sono rimasti dispersi in mare e un bambino di 4 anni che viaggiava con la mamma, era stato ripescato dalle acque già deceduto. Sempre secondo quanto raccontato dai migranti agli investigatori della squadra mobile, la piccola imbarcazione condotta dai due soggetti arrestati era partita l’11 luglio dalla città di Sfax, in Tunisia. Dopo una giornata di navigazione, a causa del peggioramento delle condizioni meteo marine, i migranti avevano chiesto soccorso a un peschereccio, ma nel tentativo di trasbordare, la loro imbarcazione si era ribaltata causando la morte del bambino e la scomparsa di altre 7 persone, 3 adulti e altri 4 minori.
Gli indagati hanno “agito servendosi di una rete più ampia, in sinergia con altri soggetti, operanti tanto sulle coste tunisine quanto sulle coste italiane e incaricati di sovrintendere alle fasi dell’organizzazione della partenza e dell’arrivo”, scrive il gip Irene Giani nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Mentre il primo dei due presunti scafisti, Mohamed Jor Ginho Cissay, subito dopo l’arrivo a Reggio Calabria a bordo della nave Dattilo, era stato fermato il 13 luglio dalla squadra mobile diretta da Alfonso Iadevaia, l’altro scafista è stato arrestato dalla squadra mobile di Agrigento a Lampedusa dove, per motivi sanitari, era stato accompagnato dopo il naufragio. I due arrestati sono stati riconosciuti dai migranti superstiti che, agli investigatori, hanno ricostruito i concitati momenti in cui il barchino si è capovolto.
Secondo il gip Giani, che ha convalidato il fermo e ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, il trasporto dei migranti “è stato assicurato dagli indagati, mediante un’imbarcazione che, per dimensioni e caratteristiche strutturali, era assolutamente inadeguata ad affrontare il tragitto con la moltitudine dei soggetti trasportati (circa 45/50, in modo da precludere ogni capacità di movimento)”. “Tale circostanza – si legge sempre nel provvedimento di arresto – era sicuramente idonea, in sé, a esporre i passeggeri a pericolo concreto per la loro vita o comunque per la loro incolumità”.