Dopo una agonia di alcuni giorni è morto poco prima delle 2 nell’ospedale dell’Aquila il boss Matteo Messina Denaro, l’ultimo stragista di Cosa nostra arrestato a gennaio dopo 30 anni di latitanza. Il capomafia 61enne soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato, a fine 2020.
Il corpo del mafioso si troverebbe ora in uno dei sotterranei dell’obitorio dell’ospedale aquilano (nella foto) che dista non più di cento metri dalla camera-cella nella quale era ricoverato dallo scorso 8 agosto. Fuori dall’obitorio qualche telecamera, pochi fotografi e pochi giornalisti, ma una presenza compatta di tutte le forze dell’ordine. Non ci sono curiosi, ma solo addetti ai lavori a presidiare l’ingresso dell’obitorio. La Procura dell’Aquila, di concerto con quella di Palermo, ha disposto l’autopsia che verrà eseguita nell’ospedale dell’Aquila. Nelle prossime ore sarà possibile capire la destinazione della salma.
LA MALATTIA NEL SUPERCARCERE DE L’AQUILA. Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro.
Dall’ultimo non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale. Venerdì, sulla base del testamento biologico lasciato dal boss che ha rifiutato l’accanimento terapeutico, gli è stata interrotta l’alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile.
Nei giorni scorsi la Direzione sanitaria della Asl dell’Aquila ha cominciato a organizzare le fasi successive alla morte del boss e quelle della riconsegna della salma alla famiglia, rappresentata dalla nipote e legale Lorenza Guttadauro e dalla giovane figlia Lorenza Alagna, riconosciuta recentemente e incontrata per la prima volta nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila ad aprile. La ragazza, con la nipote del boss e la sorella Giovanna, gli è stata accanto negli ultimi giorni.
GLI ULTIMI COLLOQUI CON LA FIGLIA E I MAGISTRATI. I magistrati, in questi mesi di detenzione, l’ex latitante li ha incontrati tre volte accettando di rispondere alle domande del procuratore Maurizio De Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido, dei pm Gianluca De Leo e Piero Padova e a quelle del gip Alfredo Montalto. “Io non mi pento”, ha messo in chiaro da subito ammettendo solo quel che non poteva negare, come il possesso della pistola trovata nel covo, e negando tutto il resto: l’appartenenza a Cosa nostra, gli omicidi, specie quello del piccolo Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e ucciso, le stragi, i traffici di droga. “Stavo bene di famiglia”, ha spiegato ribadendo che comunque dei suoi beni, tutti ancora da trovare, non avrebbe parlato. “Se non mi fossi ammalato non mi avreste preso”, ha detto sfottente ai pm spiegando che è stato il cancro a fargli abbassare le difese e a portarli sulle sue tracce.