Le Rems (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) sono strutture piccole, massimo per 20 persone, in Italia ne esistono 31, che fanno parte delle reti dei Dipartimenti di salute mentale, e sono state pensate da una legge, la 81 del 2014, come luoghi di cura e reinserimento, con ricoveri limitati nel tempo che dovrebbero essere destinati ad accogliere solo autori di reato giudicati infermi o seminfermi di mente, ma anche socialmente pericolosi e non adatti a soluzioni meno restrittive. Insomma doveva significare passare dall’orrore dei manicomi a un’eccellenza italiana unica al mondo. Oggi però tutto questo rischia invece di affondare, non per i suoi demeriti ma per le questioni irrisolte della giustizia e della sanità sempre a caccia di risorse.
Emerge dal meeting sulle strutture sanitarie di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali ma soprattutto sul protocollo d’intesa tra Tribunale di sorveglianza e Dipartimento di salute mentale dell’Asp di Catania e Aceres (associazioni centri residenziali socio sanitari e di riabilitazione psichiatrica) che si è tenuto nell’aula delle adunanze del Tribunale di Catania. Introdotto e moderato da Palmira Mirella Viscuso, avvocato del Foro di Catania, il meeting è stato salutato con favore dal presidente del Tribunale, Francesco Mannino, dal presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati, Antonino Di Stefano, e dal commissario straordinario dell’Asp, Maurizio Lanza.
Carmelo Florio (nella foto), direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asp di Catania, ha ricordato il forte impegno comune per una reale implementazione del protocollo stesso che è stato ben definito dal presidente del Tribunale di sorveglianza, Luca Rossomandi. Il direttore delle comunità terapeutiche, Roberto Ortoleva, ha indicato dei percorsi alternativi alla Rems per gli autori di reato psichiatrici mentre il presidente dell’Acres, Michele Sciuto, si è soffermato sugli invii impropri alle stesse comunità (nella foto da sn Lanza, Mannino, Viscuso e Di Stefano).