Il primo e finora unico Mondiale vinto dall’Inghilterra con la sua firma indelebile, una serie infinita di vittorie con il suo amato Manchester United e il merito di essere considerato il più grande calciatore britannico di tutti i tempi. La ‘culla’ del pallone e il resto del mondo del calcio, tra passato, presente e futuro, piangono Bobby Charlton, la leggenda della Nazionale dei Tre Leoni e dei Red Devils scomparso all’età di 86 anni. Partito dall’Academy del club, sir Bobby ha giocato 758 partite e segnato 249 gol durante 17 anni da giocatore del Manchester United, vincendo la Coppa dei Campioni, tre campionati e una FA Cup. Con l’Inghilterra ha collezionato 106 presenze, segnato 49 gol e vinto la Coppa del Mondo del 1966, anno in cui fu premiato anche con il Pallone d’Oro.
“Non c’è mai stato un calciatore così apprezzato – disse di lui il mitico allenatore dello United Matt Busby -. Era vicino alla perfezione, come uomo e giocatore”. Ancora oggi, Charlton occupa la 12/a posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Soccer. “Il suo impareggiabile record di successi e il suo carattere rimarranno impressi per sempre nella storia dello United e del calcio inglese – lo ricorda il suo storico club, dove lavorò a lungo come direttore -. La sua eredità continuerà a vivere attraverso la Sir Bobby Charlton Foundation”.
Bandiera dello United, guidò da capitano i Red Devils alla conquista della loro prima Coppa dei Campioni insieme a Denis Law e George Best, con i quali formò una leggendaria linea d’attacco. Fino al 21 maggio 2008 è stato anche il primatista di presenze (758) con la maglia del club, venendo poi superato da Ryan Giggs. Dopo la sua morte, Sir Geoff Hurst, autore della celebre tripletta nella vittoria per 4-2 dell’Inghilterra sulla Germania Ovest a Wembley, era rimasto l’unico campione del mondo 1966 ancora in vita. E dopo la morte di Harry Gregg, avvenuta nel 2020, era l’ultimo giocatore dei Red Devils sopravvissuto al disastro aereo di Monaco di Baviera, quando il 6 febbraio 1958 morirono 23 persone.
Un dramma simile a quello di Superga, che lo segnò nel profondo. “Non passa giorno in cui non ricordi cosa è successo e le persone che se ne sono andate – disse anni fa tornano nella città bavarese -. Il Manchester United sarebbe stato una delle squadre più grandi in Europa. Quella tragedia ha cambiato tutto”. Lui ebbe la fortuna di “trovarsi seduto nel posto giusto sull’aereo”. “Probabilmente sono entrato in prima squadra e in nazionale prima di quanto avrei fatto se non fosse stato per l’incidente aereo”. Da allora fece di tutto per esserselo meritato, arrivando anche ad essere nominato sir dalla regina Elisabetta.
Una vita da campionissimo che nel novembre 2020 rimase come sospesa quando gli fu diagnosticata la demenza, appena quattro mesi dopo la morte del fratello maggiore Jack Charlton, un altro eroe del 1966, scomparso all’età di 85 anni, col quale ebbe un rapporto a volte anche burrascoso. Fino all’annuncio del suo decesso dato dalla sua famiglia con un comunicato: “È con grande tristezza che condividiamo la notizia che sir Bobby è morto pacificamente nelle prime ore di sabato mattina. Era circondato dalla sua famiglia – si legge -. La sua famiglia desidera ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alle sue cure e le tante persone che lo hanno amato e sostenuto”. Nessun tifoso inglese o del Manchester United lo dimenticherà mai. A Bobby è dedicata la tribuna sud dello stadio Old Trafford, all’esterno del quale 15 anni fa fu eretta una statua che lo ritrae insieme con Best e Law, diventata da subito stasera meta di pellegrinaggio.