CALTANISSETTA – “Il grave stato depressivo” di Antonello Montante è stato uno degli elementi su cui la difesa dell’ex leader di Confindustria Sicilia, rappresentata dagli avvocati Carlo Taormina e Giuseppe Panepinto, ha fatto leva per accertare la capacità dell’imputato di partecipare coscientemente in giudizio. Il giudice, come si legge nella sentenza d’appello depositata oggi, ha ritenuto che le patologie “accertate non pregiudicassero la capacita dell’imputato di partecipare al giudizio”.
Secondo i medici che hanno accertato le sue condizioni psichiche, si legge in un passaggio della sentenza, “la personalità di Antonello Montante è caratterizzata da immaturità e fragilità, mal contenuta e non compensata dalla debole evoluzione caratteriale con cui si è sviluppato nell’infanzia nonché da una dimensione bio-psicologica poco adatta a tollerare sacrifici e frustrazioni”. E ancora, si legge nella sentenza, “lo psicologo di Caltanissetta parla di un disturbo narcisistico di personalità, lo psicologo di Agrigento parla di un sentimento di vergogna”, un’altra dottoressa dice che “la situazione si è aggravata alla detenzione domiciliare per questo sentimento di vergogna, ergo il dottore Montante non ha una banale reazione depressiva alla carcerazione, ha un disturbo di personalità con prevalente componente narcisistica”.
Montante, condannato in appello a 8 anni, è attualmente imputato nel cosiddetto maxi-processo in cui sono confluiti gli imputati che inizialmente avevano scelto il rito ordinario e gli imputati di una nuova indagine a carico di esponenti della politica, dell’economia e delle forze dell’ordine. Trenta in tutto gli imputati del maxi processo tra cui figurano l’ex governatore della Sicilia Rosario Crocetta, gli ex assessori Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, l’attuale presidente della Regione Renato Schifani e l’ex commissario Irsap Maria Grazia Brandara, l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito.
“In contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici, non tanto del territorio, ma della Regione e del Paese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”, scrivono i giudici della Corte d’appello su Montante. “Dietro la coltre fumosa della locuzione “sistema” – si legge nella sentenza – tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni. Un ruolo che egli avrebbe potuto assicurarsi solo se in sede locale fosse stato in grado di far leva su un suo personale potere di influenza, di condizionamento o di ricatto nelle dinamiche del territorio, ma che, proiettato in sede nazionale (e non solo), non poteva che trovare origine nella corrispondenza strategica tra il suo operato e altri interessi e obiettivi”.
“Egli poteva mostrare – scrivono i giudici – la solida legittimazione a livello locale, vantando il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, e a livello locale poteva guadagnare il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, vantando l’appoggio dei vertici politici e istituzionali a livello nazionale. Egli, peraltro, nel suo interrogatorio, cercando di ridimensionare le sue indubbie abilita politico-relazionali, ha sostenuto di essere stato indotto ad assumere il ruolo che gli veniva riconosciuto dalle autorità”.
Secondo i giudici “Montante aveva attivato la sua rete di complici che gli consentivano di accedere alle banche dati della polizia per ottenere informazioni. Il primo appartenente a questa rete era Diego De Simone Perricone, già appartenente alla polizia di Stato, assunto dalla Aedificatio Spa su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale. Di Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla squadra mobile di Palermo”.
Per i giudici “molti dei dati rinvenuti nella ‘stanza segreta’ dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito”. Gli accessi “venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della polizia, al quale le richieste pervenivano da De Angelis”. Montante si legge ancora nella sentenza “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”, “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”. E ancora, scrivono i giudici “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”.