MESSINA – Questa mattina la guardia di finanza di Messina ha dato esecuzione agli arresti domiciliari di Enzo Sindoni, noto imprenditore e in passato sindaco di Capo d’Orlando per diversi mandati. L’indagine, durata oltre due anni, ha riguardato principalmente condotte di bancarotta fraudolenta concernenti tre note società, tutte con sede a Capo d’Orlando, attive nel settore delle comunicazioni, nella commercializzazione degli agrumi e nella gestione di un importante società sportiva di basket.
Sindoni è sotto accusa come unico artefice delle ipotesi di bancarotta, anche attraverso false contabilizzazioni e distrazioni dirette di somme societarie sui propri conti correnti personali. L’inchiesta ha documentato come l’imprenditore amministrasse le società – assieme ad altre tutt’ora attive – attraverso diversi prestanome, senza mai apparire come rappresentante legale: sono stati accertati, nel dettaglio, circa 86 milioni di euro di debiti, in gran parte con l’erario, con un ingente ammanco per le casse pubbliche.
In altre parole, è stato ricostruito un disegno unitario che lega assieme tutte le condotte di bancarotta contestate, con una serie di operazioni volte allo svuotamento delle citate società e alla successiva costituzione di nuovi assetti societari, attivi nei medesimi settori commerciali, alle quali sono stati trasferiti i beni strumentali delle prime, in modo da poter operare sul mercato senza i debiti maturati dalle fallite.
La richiesta di arresti è stata avanzata dalla Procura di Patti e, in un primo momento, rigettata dal gip per la ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari. In seguito all’appello del pubblico ministero il Tribunale del riesame ha riconosciuto invece la necessità delle esigenze cautelari, ordinanza poi confermata dalla Cassazione, che ha ritenuto inammissibile il ricorso della parte. Il Tribunale messinese ha ritenuto che, “a fronte di un granitico quadro di gravità indiziaria, sussistano plurimi indici di un persistente pericolo di reiterazione della fattispecie criminosa”: il noto imprenditore, infatti, dopo avere gestito le società e dopo averle condotte scientemente al fallimento, con il concorso dei legali rappresentanti prestanome delle stesse, le ha svuotate e ha continuato a gestire le nuove imprese costituite, adottando anche per queste ultime le medesime strategie distrattive delle risorse, a proprio vantaggio. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, oltre che per le tre bancarotte documentate, anche per reati tributari, truffa ai danni dello Stato e minaccia rivolta a un curatore fallimentare.