CATANIA – “La mafia ha un radicamento culturale purtroppo basato su determinati ambienti e da ragione storiche particolarmente elevato. Sottocultura che si basa sul mito del mafioso che, secondo loro, è una persona che si contrappone al potere, alle prepotenze, alle vessazioni e che invece contrappone la propria volontà egemonica”. Il procuratore generale di Catania, Carmelo Zuccaro, ha tracciato un quadro di Cosa nostra a margine dell’incontro su ‘Dialoghiamo sulle mafie’ promosso dall’associazione ‘Antimafia e legalità’.
“In realtà – ha aggiunto il magistrato – è un mito: non esiste il mafioso, ma la l’organizzazione mafiosa su cui fonda la sua forza. Il mafioso non è un supereroe come la sottocultura lo dipinge. Purtroppo questi miti hanno radici storiche molto, ma molto elevate. In un’opera teatrale che circolava a Palermo nel 1865, ‘I mafiusi de la Vicaria’, al mafioso detenuto si attribuivano i poteri di un supereroe che non accettava le prepotenze e difendeva i deboli. Queste sono delle mistificazioni – ha ribadito il pg Zuccaro -, in realtà è proprio sulla prepotenza e sulla forza del sodalizio mafioso che si fonda la vera forza della mafia, soprattutto la sua capacità di interagire con le forze politiche, le istituzioni e con alcuni ambienti dell’imprenditoria e dell’economia”.
Secondo il procuratore generale di Catania la mafia “si contrasta combattendo le cosiddette povertà educativa e socioeconomica. Questi sono i veri strumenti, ma sono di medio e lungo periodo e che, purtroppo, non tutti perseguono in modo coerente. Quelli di cui ci dobbiamo occupare noi sono la repressione e il contrasto dal punto di vista giudiziario. Con tre strumenti: potere avere una buona collaborazione dai collaboratori di giustizia, i cosiddetti ‘pentiti’ che non sono affatto pentiti, intercettazioni efficaci e potere impoverire la mafia con sequestri e confisca”.
“La mafia non ha mai preteso di sostituirsi allo Stato – ha osservato il Zuccaro – ma ha sempre cercato di colloquiare con lo Stato, di entrare a patti e di ricavarci delle sfere, più o meno ampie, di controllo del territorio, e sotto questo profilo non c’è un cambio di strategia di Cosa nostra, ma un ritorno a quelle che erano le tradizioni precedenti: la mafia che fa affari e che per poterli fare non deve destare allarme sociale. La forza della mafia non è la sua capacità di violenza, ma quella di sapere colloquiare con il potere. Quando non assistiamo più a dei fatti eclatanti non dobbiamo stare più tranquilli, perché significa che la mafia è più forte di prima, perché ricorre alla violenza solo quando è in crisi”.
Il procuratore ha sottolineato che “ci sono ancora oggi imprenditori che preferiscono esser sottoposti a un procedimento penale piuttosto che denunciare le estorsioni, altri che adottano una via di mezzo: aspettano che la magistratura contesti loro i risultati delle intercettazioni. Se c’è fiducia nella volontà delle istituzioni di farla finita con questo fenomeno è più facile che ci siano imprenditori che abbiano il coraggio di denunciare. E’ un circolo vizioso, un serpente che si morde la coda, senza la loro collaborazione noi non riusciamo a fare molto, se non abbiamo però la loro fiducia non riusciremo mai a ottenere questa collaborazione. Falcone diceva che la mafia è un fenomeno storico e che quindi avrà una fine. Non è come il sole o la luna, ma legato a fenomeni ciclici. Il punto è: non scompare da solo, ci vuole l’intraprendenza di tutti, ma prima di tutti dalle istituzioni”.