CATANIA – “Assolto perché il fatto non sussiste”. E’ la sentenza pronunciata dalla prima sezione penale del tribunale di Catania nel processo per concorso esterno alla mafia celebrato nei confronti dell’imprenditore ed editore Mario Ciancio Sanfilippo. La Procura aveva chiesto la condanna a 12 anni e la confisca dei beni che gli erano stati dissequestrati. “Accolgo con gioia e soddisfazione – ha commentato l’editore – il pronunciamento giunto a esito di un lunghissimo e assai faticoso percorso nel corso del quale ho sempre serbato rispetto e fiducia nella giustizia. Desidero porgere un sentito ringraziamento ai miei avvocati, encomiabili per professionalità e dedizione, e a tutti coloro i quali, nel corso di questi anni, mai mi hanno fatto mancare stima, affetto e sostegno”.
Il processo, iniziato nel 2017, verteva su presunti rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra etnea della famiglia Santapaola-Ercolano. Ipotesi sempre contestata dall’imprenditore e dai suoi legali, gli avvocati Giulia Buongiorno, Francesco Colotti e Carmelo Peluso. In una prima fase dell’inchiesta la Procura aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, ma il gup Luigi Barone aveva rigettato la proposta e disposto nuove indagini. Il gup Gaetana Bernabò Distefano aveva invece poi rigettato la successiva richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla Procura e disposto l’archiviazione dell’inchiesta, ma la sua decisione è stata annullata dalla Cassazione e il gip Loredana Pezzino, il 1 giugno del 2017, ha disposto il rinvio a giudizio dell’imprenditore ed editore che ha 91 anni.
Nell’ambito della stessa inchiesta, il 22 gennaio 2022, con decisione della Cassazione che ha ritenuto inammissibile il ricorso della Procura generale, è diventato definitivo il dissequestro dei beni stimati in 150 milioni di euro riconducibili a Mario Ciancio Sanfilippo che era stato disposto dalla Corte d’appello di Catania, compreso il suo gruppo editoriale. Sono gli stessi beni di cui la Procura ha chiesto la confisca al Tribunale in sede di requisitoria e che erano stati sequestrati il 24 settembre del 2018. Nel procedimento si erano costituite quattro parti civili: i fratelli del commissario Beppe Montana, l’Ordine dei giornalisti di Sicilia, l’associazione Libera e il Comune di Catania.
“Dopo tanti anni di processo possiamo dire che la verità ha trionfato – ha affermato l’avvocato Carmelo Peluso -. Il tribunale ha messo la parola fine a una brutta vicenda nella quale, certamente, una persona di grande spicco e di grande rilevanza a Catania è stata coinvolta. Posso dire soltanto che il processo è stato il frutto di un percorso particolare, attento, e di un contraddittorio sempre leale e corretto con i rappresentanti della Procura di Catania”.
“È una delle sentenze più belle dal punto di vista professionale e mi sono commosso per il risultato, ma anche al pensiero che con questo dispositivo viene restituita la dignità a Mario Ciancio Sanfilippo e questo è l’obiettivo più importante”, ha detto l’avvocato Francesco Colotti, dello studio di Giulia Bongiorno, che fa parte del collegio di difesa dell’editore.
“Si conclude una vicenda giudiziaria – commentano il segretario regionale di Assostampa, Giuseppe Rizzuto, e quello provinciale, Filippo Romeo – che l’Associazione siciliana della stampa, insieme alla sezione provinciale di Catania, ha seguito con grande attenzione sin dall’inizio. L’auspicio del sindacato unitario dei giornalisti è che l’assoluzione dell’editore del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo possa ridare serenità occupazionale a decine di giornalisti e lavoratori impegnati nelle redazioni del gruppo editoriale”.
“Ringrazio il mio avvocato e i pubblici ministeri che hanno svolto un lavoro egregio. Per quanto ci riguarda siamo soddisfatti perché abbiamo raggiunto un risultato storico: Mario Ciancio Sanfilippo andato a giudizio, e questa città non voleva che si celebrasse il processo che non è stato seguito, e crediamo che la verità storica è stata affermata. Sul destino giudiziario di Mario Ciancio Sanfilippo siamo indifferenti”, ha detto, dal canto suo, Girlando Montana, fratello del commissario Beppe Montana assassinato da Cosa nostra il 28 luglio del 1985. La famiglia Montana, assistita dall’avvocato Goffredo D’Antona, si era costituita parte civile nel processo davanti alla prima sezione penale del Tribunale etneo per un necrologio che il quotidiano La Sicilia non pubblicò sull’uccisione da parte della mafia di Beppe Montana, capo della Catturandi della squadra mobile di Palermo.