PALERMO – Hanno patteggiato pene da un anno e 9 mesi a 4 anni di carcere i funzionari infedeli dell’Anas, accusati di avere omesso i controlli sui lavori autostradali nel Catanese in cambio di tangenti. Adesso sono anche stati condannati dalla Corte dei conti della Regione Sicilia per danno di immagine. Giuseppe Romano, responsabile area tecnica e rup dovrà risarcire l’Anas per 141 mila euro; Carmelo Riccardo Contino 97 mila euro. I due erano stati condannati a 4 anni. Antonino Urso, direttore dei lavori di manutenzione e coordinatore della sicurezza, che ha patteggiato due anni di reclusione, dovrà risarcire 80 mila euro; Giuseppe Panzica, che ha patteggiato 3 anni e sei mesi, 79 mila euro; Giorgio Gugliotta (2 anni e 11 mesi), 21 mila euro; Gaetano Trovato (un anno, 9 mesi e 10 giorni), 9 mila euro.
Vista la gravità delle contestazioni la procura regionale aveva chiesto di condannare i dirigenti e funzionari per una somma complessiva di un milione e 300 mila euro. Romano disse al Gip: “Capivo bene che i soldi venivano dai lavori che eseguivamo e quindi da un patto corruttivo del quale io praticamente facevo parte… cioè io non pensavo che piovessero così”. Era emerso che grazie ai lavori eseguiti in difformità, agevolati dall’omesso controllo, era possibile conseguire un risparmio di spesa. In effetti i finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Catania nell’inchiesta ‘Buche d’oro’ avevano accertato che, ad esempio, il tappetino d’asfalto anziché dei 5 centimetri previsto era di 3 centimetri.
“La condotta di tutti i convenuti ha avuto un carattere costante e sistematico, palesato dalle modalità di azione e dalla frequenza ed entità delle indebite percezioni – scrivono i giudici presieduti da Anna Luisa Carra – tanto da suscitare seri dubbi nell’opinione pubblica in ordine all’operato complessivo dell’Anas con riguardo alla manutenzione delle strade e al connesso rischio per la pubblica circolazione a causa della scarsa qualità dei lavori eseguiti dalle ditte favorite dai convenuti. Si osserva che dopo l’avvio delle indagini penali i convenuti hanno mostrato un atteggiamento collaborativo con la giustizia, tanto che hanno almeno in parte ammesso le loro condotte, pur cercando di sminuirne la gravità”.