PATERNÒ (CATANIA) – Resta in carcere Issam Lahmidi, 36enne marocchino accusato dell’omicidio di un connazionale di 26 anni, Mohamed Mouna, che lavorava per lui come bracciante agricolo a Paternò, in provincia di Catania. A convalidare l’arresto e disporre la misura cautelare, il gip di Milano Alberto Carboni, che ha anche ordinato che gli atti vengano trasferiti alla procura catanese per competenza territoriale.
È arrivata dalla visione delle riprese del sistema di videosorveglianza di un’area di servizio di Paternò la svolta nelle indagini dei carabinieri sull’omicidio del 26enne. Una telecamera riprende la scena del delitto, in cui si vede un uomo colpire con due fendenti la vittima. Per l’accusa è il suo connazionale Issam Lahmidi fermato per l’omicidio che sarebbe maturato per un debito. L’uomo è stato fermato dai carabinieri a Milano mentre cercava di fuggire in Francia e il provvedimento è stato convalidato dal gip che ha emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Gli atti dell’inchiesta saranno trasferiti a Catania per competenza. A identificare l’indagato, bracciante agricolo come la vittima, sono stati i carabinieri della compagnia di Paternò coordinati dal procuratore aggiunto di Catania Fabio Scavone e dal sostituto Magda Guarnaccia, grazie ai rilievi eseguiti dalla Sezione investigazioni scientifiche del Nucleo investigativo del comando provinciale dell’Arma. Indagini sono state eseguite, soprattutto, sulle frequentazioni della vittima, che hanno coinvolto il mondo della raccolta degli agrumi dell’insediamento denominato “Ciappe Bianche” – una tendopoli nelle campagne alle porte di Paternò che ospita circa 300 migranti impiegati nella raccolta – e della comunità romena della zona.
L’indagato, ricostruisce la Procura di Catania, è stato fermato al binario 20, mentre attendeva di prendere, da lì a 10 minuti, un treno diretto a Ventimiglia, col chiaro l’intento di lasciare l’Italia per recarsi in Francia. Alla vista dei carabinieri avrebbe inutilmente cercato di nascondersi tra la folla, ma poi ammettendo di essere il ricercato non appena è stato bloccato. Il 36enne indossava ancora gli stessi vestiti che portava durante l’omicidio. Il movente, al momento, sembra da ricondurre a un debito che l’indagato avrebbe avuto nei confronti della vittima, per questioni di lavoro. Quest’ultima, infatti, aveva raccontato ad alcuni amici di avere “problemi di lavoro perché il suo capo non lo pagava”.