In cattedrale a Catania la messa dell’aurora presieduta dall’arcivescovo, monsignor Luigi Renna. Di seguito il testo dell’omelia.
“Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, eccoci anche quest’anno riuniti attorno all’altare della nostra Cattedrale di Sant’Agata per la Messa dell’aurora, la Celebrazione Eucaristica che ha il nome così bello delle prime luci dell’alba, quelle che promettono le attese più belle di ogni giornata, quelle che a volte sono affrontate con qualche timore e che noi cristiani iniziamo sempre affidandoci a Dio, Padre buono. Il santo vescovo di Molfetta, il venerabile don Tonino Bello, invocava la Madonna all’aurora con parole che potrebbero adattarsi a chiedere l’intercessione della nostra martire Agata: «…donaci di intuire, pur tra le foschie dell’aurora, le speranze del giorno nuovo. Ispiraci parole di coraggio. Non farci tremare la voce quando, a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati che invecchiano il mondo,
osiamo annunciare che verranno tempi migliori. […] Aiutaci a comprendere che additare le gemme che spuntano sui rami vale più che piangere sulle foglie che cadono. E infondici la sicurezza di chi già vede l’oriente incendiarsi ai primi raggi del sole».
La gemma che spunta sull’albero e che ci dona speranza è sant’Agata, che con il suo martirio continua ad annunciarci che la Luce che Cristo è venuto a portare nel mondo, non teme né la corruzione di Afrodisia, né la violenza di Quinziano. La luce del Vangelo non è mai contro qualcuno o qualcosa, ma è semplicemente luce di salvezza, ed è incompatibile con il Male, così come l’aurora è incompatibile con la notte. La testimonianza cristiana fino al martirio ha il suo riverbero anche nei valori umani, perché «non c’è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore del cristiano». (Gaudium et spes, 1). Il martirio di sant’Agata ci dice quanto un cristiano possa essere credibile: non è solo uno che parla, ma è uno che sa essere coerente e sa pagare persino con il dono della propria vita. La luce del martirio è quella che ha dato speranza ai cristiani e ha fatto dire loro: sì, è possibile essere credenti fino in fondo; se è stato possibile per una ragazza come
sant’Agata, è possibile per te, per me, per tutti. E la luce del martirio continua ancora oggi, ed è sempre come l’aurora in mezzo al buio: così trent’anni fa don Pino Puglisi, in terra di Sicilia.
Il papa, ricordandoci del suo sacrificio, ha scritto ai vescovi siciliani queste parole: “Vi esorto quindi a fare emergere la bellezza e la differenza del Vangelo, compiendo gesti e trovando linguaggi giusti per mostrare la tenerezza di Dio, la sua giustizia e la sua misericordia. Sono segni che il cristiano è chiamato a porre nella città degli uomini per illuminarla nella costruzione di una nuova umanità. Il Martire Don Pino possedeva una sapienza pratica e profonda al tempo stesso, infatti amava dire: “Se ognuno di noi fa qualcosa, allora possiamo fare molto”. (Lettera del santo Padre per i trent’anni del martirio di don Pino Puglisi, 1.8.23). Se qualche volta voi uomini e donne di cultura vedete il vostro pastore fermo nell’affermare la peculiarità del martirio di Agata rispetto alle tante letture culturali e simboliche che proliferano, e che rischiano di trasformarla in un mito, è perché io voglio che non si dimentichi che è una martire cristiana, perché il mito è manipolabile (dall’antica Grecia fino a Freud), ma il Vangelo e i suoi martiri no. Essi hanno una portata etica che è quella stessa del Vangelo. Anche la religiosità può diventare manipolabile, quando ad esempio una candelora perde il suo senso di devozione comunitaria, divenendo espressione particolaristica o politica.
Stiamo attenti alle derive e torniamo a rileggere sant’Agata alla luce della fede cristiana! sul suo volto non è stampato un sorriso enigmatico come su una statua greca o classica, ma i nostri antenati e il mio predecessore, il vescovo Maurizio, volle che fosse espressa la serenità di una donna che ha riposto tutta la sua fiducia in Cristo Salvatore. Sant’Agata ha fatto la sua parte, don Pino Puglisi anche; ora tocca a noi, i cristiani di questo tempo. Come potrà la nostra vita portare i riverberi dell’aurora su Catania, sul nostro mondo, ogni giorno e non solo oggi in cui le nostre strade sono vestite a festa? Ci risponde la Parola di Dio di questa domenica. Il vangelo secondo Marco ci dice oggi che Gesù entrò a Cafarnao, il villaggio dove abitava Pietro, in giorno di sabato, e si reca nella casa dell’apostolo, dove la suocera di costui era malata. Gesù non rifugge dai luoghi dove c’è sofferenza e malattia; educa i suoi apostoli non dicendo loro: «Andate, curate!».
Lui per primo “si sporca le mani” entra e compie dei gesti semplici, che dicono la vicinanza e la tenerezza di chi sa stare accanto al letto di un malato. Non trovo parole più belle di quelle di un Padre della Chiesa, quasi coevo della nostra sant’Agata, san Girolamo, per commentare questo episodio evangelico: “Ma questo medico misericordioso, si accosta egli stesso al letto; Colui che s’era messo sulle spalle quella pecorella ammalata, si accostò di persona […]. La prese per mano e la fece alzare […]. Prese la sua mano come fosse un medico, tastò il polso, si accorse della febbre. E fu egli stesso il medico e la medicina (…) Invitiamolo ad entrare in casa nostra, non restiamocene supini, ma alziamoci una buona volta dal letto!” E cosa fa quella donna? Si mette a servire! Rende la casa che era ferma, quasi bloccata dalla malattia, una casa accogliente, dove si nutrono gli ospiti, dove a sera, nel cortile, Gesù accoglie altri malati.
Cari fratelli e sorelle, nel nome di sant’Agata come vorremmo imparare questi gesti di Gesù, e sentire che Egli entra nelle nostre case ogni volta che apriamo il cuore al suo Vangelo. Questa mattina voglio rivolgermi soprattutto alle famiglie, invitando a lasciarsi prendere per mano dal Signore e da Sant’Agata. I mariti siano accanto alle mogli con tenerezza, senza asprezza o, peggio, violenza. Sappiano che il bene di una coppia che rimane unita per tutta la vita, è inestimabile. Gli
uomini non insidino altre donne, rovinando altre famiglie e diventando padri di figli che abbandoneranno. E voi mogli, amate i vostri mariti con la stessa fedeltà con cui Sant’Agata ha amato Cristo suo sposo. State attente però: amore non vuol dire subire violenze e tradimenti, essere messe a tacere dai mariti, da suoceri e suocere che sono peggio di Quinziano e di quella cattiva madre che fu Afrodisia. Lasciatevi toccare il cuore per amare sinceramente e fedelmente!
E voi genitori, prendete mano nella mano i vostri figli come Gesù prese per mano la suocera di Pietro. Prendere per mano significa accompagnarli nella vita perché siano persone capaci di realizzarsi. Cosa dai a tuo figlio? Lo studio? Allora sarà libero un domani, perché non dovrà piegarsi né ad un imprenditore che lo sfrutta dandogli un salario di fame, né alla mafia che recluta i ragazzi più fragili per renderli uomini che non avranno mai un futuro dignitoso. Sarà libero di votare con la sua testa e di partecipare alla vita democratica senza ricatti. Cosa dai a tuo figlio? Una pistola che lo faccia sentire onnipotente? Non è la strada che ha percorso lo sposo di Sant’Agata, Gesù Cristo, che ha detto: “Rimetti la spada nel suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno” (Matteo 26,52). Le armi esibite o date ai figli sono il peggior insegnamento che si possa dare, perché con le armi si uccide e anche se ci si diverte lo si fa in una maniera non
appropriata la morte. Insegnate ai figli a costruire un futuro, insegnate loro ad amare e servire come Gesù.
Ci sono famiglie in cui c’è tutto: amore dei genitori, buona educazione, studi avanzati. Cosa manca? Imparare da Gesù a tendere la mano ai poveri e insegnare a servire, a fare del bene agli altri, gratuitamente. Solo i figli che impareranno questo stile, potranno dare speranza alla società, alla politica, ad un mondo che ha bisogno di autorevoli servitori, alla Chiesa. Domani avremo un gesto di condivisione a San Nicolò l’Arena: mi raccomando sia tale per chi vi partecipa, perché tante volte vedo affacciarsi persone per fare un selfie e poi andare a pranzare a casa. La mensa della carità va onorata con la coerenza! E noi abbiamo voluto festeggiare Sant’Agata con i suoi fratelli diletti, i poveri. Ci piace pensare che Sant’Agata, come una vera discepola del Signore, ci prenda per mano tanti che come la suocera di Pietro sono “bloccati” nella malattia, nelle povertà di ogni tipo, nelle storie di peccato e di corruzione.
Lei ci inviti a rialzarci e a farci camminare, in questa aurora, verso il giorno in cui splende giustizia e carità per tutti. E insegni anche a noi ad essere solidali e servitori come Gesù Cristo, come Don Pino e gli altri Santi, e tutti possiamo sentire che “i raggi di un sole”, quello delle beatitudini del Vangelo, illumini questa città che Lei ha irrorato col suo sangue di martire cristiana. La carità salverà Catania!