PALERMO – Più che un sospetto per il governatore della Sicilia, Renato Schifani, è quasi una certezza, almeno leggendo tra le righe della nota diramata dopo l’incontro, a Palazzo dei Normanni, con il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno (FdI): i franchi tiratori – almeno tredici – che ieri hanno impallinato alla prima votazione in aula, e davanti agli occhi del presidente della Regione, la riforma delle Province che conteneva la reintroduzione del suffragio popolare, approfittando del voto segreto chiesto dalle opposizioni, non si anniderebbero solo nel gruppo di FdI, su cui molti alleati hanno cercato di scaricare la responsabilità dell’ammutinamento. Ma sarebbero sparsi anche negli altri quattro gruppi di centrodestra e per ragioni differenti.
Subito dopo la votazione il governatore si era preso qualche ora per riflettere rientrando ieri pomeriggio a Palazzo d’Orleans, mentre per l’intera serata nella maggioranza si facevano le ipotesi più svariate sul tipo di reazione che avrebbe avuto Schifani, persino la più catastrofica per la legislatura. A mente fredda, stamani il governatore ne ha discusso con Galvagno. Dal colloquio è emerso “un solido rapporto tra le due istituzioni, a differenza di quanto è accaduto, spesso, nel passato più o meno recente”. E “a proposito del voto sulle Province si è convenuto sul fatto che la mancanza dei voti necessari per l’approvazione del disegno di legge fosse imputabile a più forze politiche e non a un solo gruppo parlamentare”.
Esprimendo il proprio rammarico “per il fatto che i deputati che hanno votato contro il ddl non abbiano manifestato il loro intendimento prima del voto d’aula, fornendo invece ampie rassicurazioni al presidente della Regione, poi smentite dai fatti”, per Schifani e Galvagno “incidenti di questo tipo non sono più accettabili, a maggior ragione su temi che rappresentano i pilastri del programma di governo”. Poi l’avviso agli alleati, consegnato dal governatore al presidente dell’Ars: “Nel caso in cui fatti del genere dovessero ripetersi, verranno assunte decisioni politicamente importanti”.
Della questione Schifani ne ha parlato anche con il leader della Dc Totò Cuffaro, salito a Palazzo per analizzare la situazione politica e nei prossimi giorni ne discuterà anche con gli altri alleati. Cuffaro era stato duro verso i soci del centrodestra: “È in atto una stucchevole sagra delle ipocrisie. Troppe ridicole dichiarazioni verginelle di rappresentanti della maggioranza che lamentano la mancata approvazione della legge sulle Province. ‘Excusatio non petita accusatio manifesta’. Chiedendo poi a Schifani di riproporre il disegno di legge per votare, sfumato l’election day di giugno, entro fine anno. Ma questo si potrà fare a partire dalla prossima sessione parlamentare, a marzo. Una cosa però certa è che la Dc (a differenza di Fratelli d’Italia) non vuole saperne di elezioni di secondo livello senza che ci sia la nuova legge.
“Fratelli d’Italia ha lealmente sostenuto questa riforma – dicono i due coordinatori meloniani in Sicilia, Salvo Pogliese e Giampiero Cannella – auspichiamo che il Parlamento possa legiferare nel più breve tempo possibile per immaginare la prima data utile, successiva alle europee, per far tornare i siciliani a scegliere i propri rappresentanti nelle Province ma, nelle more, occorre mettere subito fine all’esperienza commissariale e attuare la legge in vigore che prevede le elezioni di secondo livello negli Enti provinciali”. Intanto, sul fronte opposto, è partita la corsa per la leadership dell’ipotetica alleanza che i gruppi parlamentari di Pd, M5s e Sud chiama Nord stanno tentando di portare fuori dal Palazzo in vista delle regionali del 2027. Al leader di ScN Cateno De Luca, sconfitto da Schifani un anno e mezzo fa, si aggiunge Nuccio Di Paola, alla guida del M5s in Sicilia.