PALERMO – Il gip di Palermo non ha convalidato il fermo di Camillo e Antonio Mira, padre e figlio, e Alessio Caruso, coinvolti nell’omicidio di Giancarlo Romano, il boss ucciso allo Sperone nei giorni scorsi. Secondo il giudice non c’era il pericolo di fuga, presupposto del fermo, ma per tutti e tre è stata disposta la custodia cautelare in carcere. La vicenda nasce dalla richiesta di saldare un debito di circa 2.500 euro che Caruso, emissario del capomafia, fece ai Mira. La somma era una sorta di pizzo sulla gestione delle scommesse online, attività svolta da Pietro Mira, figlio di Camillo e fratello di Antonio.
Agli uomini di Alessio Caruso, arrivati in prima battuta a riscuotere, Pietro Mira disse di non avere i soldi e chiese di aspettare qualche giorno. Ma l’esattore di Romano non aveva intenzione di attendere. E così si ripresentò nel garage di via XXVIII Maggio dove si svolge l’attività di raccolta scommesse. All’ennesimo rifiuto di pagare, Caruso reagì ferendo al volto Mira. Un affronto che il padre e il fratello hanno tentato di vendicare. La famiglia Caruso e i suoi si sono rincorsi e affrontati a colpi di pistola per tutto il pomeriggio, fino a presentarsi nel negozio gestito da Romano dove c’è stata l’ennesima sparatoria. Il boss è rimasto ucciso mentre Alessio Caruso, ferito in modo grave, è stato portato in ospedale per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico.