CATANIA – La Corte d’assise di Catania ha condannato all’ergastolo Paolo Censabella e Antonino Marano per l’omicidio di Dario Chiappone, il 27enne ucciso con sedici coltellate alla gola e al torace a Riposto la sera del 31 ottobre del 2016. Il movente, secondo la Procura di Catania, è passionale ed economico, collegato al rapporto che Chiappone aveva con una donna che era stata legata sentimentalmente a Censabella. Il 27enne era appartato proprio con una donna in via Salvemini quando è stato raggiunto dagli assassini, che hanno fatto scattare una vera e propria esecuzione.
A Marano, 80 anni, il provvedimento restrittivo per l’omicidio Chiappone è stato notificato in carcere nel dicembre del 2019. Sicario del gruppo dei Cursoti ‘milanese’, pluriegastolano, assieme ad Antonino Faro e al rivale Vincenzo Andraus è passato alla storia come uno dei ‘killer delle carceri’, tre autori di diversi omicidi e gesti eclatanti: un gruppo che ha segnato la violenta storia criminale della mafia catanese, anche in ‘trasferta’.
Fu anche tra i protagonisti di una spettacolare evasione nel 1977, assieme a tre complici, dal carcere di Catania. Nel carcere di San Vittore a Milano, con Faro, urlò di essere in possesso di una bomba e col complice fece irruzione nella cella di Andraus per ucciderlo con un tubo della doccia che “avevamo staccato con le mani” per “assassinare un infame”, ma l’intervento dei secondini bloccoò il tentativo di omicidio. Il 5 ottobre del 1987 lui e Faro furono vittime di un attentato nell’aula della Corte d’assise di Milano: durante la requisitoria del pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò con una pistola diversi colpi contro di loro, ma ferì due carabinieri. Il tentativo di vendetta arrivò un anno dopo: era il 7 novembre del 1988 e nell’aula-bunker delle Vallette di Torino si celebrava un processo-stralcio contro il ‘clan dei catanesi’ davanti la Corte d’assise presieduta da Gustavo Zagrebelsky, quando da una delle gabbie Marano lanciò una bomba-carta contro la celle in cui si trovano i fratelli Nuccio e Luigi ‘Jimmy’ Miano. L’ordigno artigianale realizzato con dell’esplosivo nascosto dentro un pacchetto di sigarette non colpì il bersaglio, ma una canaletta elettrica e un termosifone in ghisa sventrato dall’esplosione.
Storie che sembravano finite impolverate nell’antica sanguinosa storia di Cosa nostra di Catania, rispolverate dalla condanna all’ergastolo dell’80enne per concorso nell’omicidio di Dario Chiappone. A incastrare il ‘killer delle carceri’ sono state le sue impronte digitali trovate dai militari del Ris sul luogo del delitto. Quando gli hanno notificato l’ordine di carcerazione per il delitto, nel dicembre del 2019, era già detenuto per detenzione illegale di arma da fuoco: era stato arrestato nel maggio dello stesso anni da carabinieri di Catania in possesso di una pistola calibro 7,65, col colpo in canna e pronta a sparare.
L’inchiesta sull’omicidio di Dario Chiappone ha già avuto dei precedenti processuali: 30 anni di reclusione sono stati comminati, col rito abbreviato, a Benedetto La Motta, e, col rito ordinario, all’ergastolo Agatino Tuccio e a 23 anni di carcere Salvatore Di Mauro. Secondo la tesi della Procura di Catania sarebbe stato La Motta ad “ordinare, per volontà di Censabella, a Tuccio, Di Mauro e Marano di eseguire l’omicidio di Chiappone”. Gli avvocati Lucia Spicuzza e Salvo Sorbello, che assistono Paolo Censabella, hanno annunciato ricorso in Cassazione.