MARSALA (TRAPANI) – “Non potevo immaginare che un mio paziente avesse ceduto la sua identità. Andrea Bonafede, classe ’63, era mio assistito dall’ottobre 2018, dopo che il suo medico di base era andato in pensione. Lo conosco da tanti anni, ma non siamo amici. Un giorno venne da me per mostrarmi l’esito di una colonscopia…”. Lo ha detto, oggi pomeriggio, in Tribunale, a Marsala, il dottor Alfonso Tumbarello, 71 anni, ex medico di base di Campobello di Mazara, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atti pubblici per avere redatto numerosi certificati a nome di “Bonafede Andrea”, classe ’63, per consentire al capomafia castelvetranese Matteo Messina Denaro, poi deceduto, di potersi curare per un tumore.
Rispondendo prima alle domande del pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo e del presidente del collegio giudicante, Vito Marcello Saladino, e poi dei suoi legali, gli avvocati Gioacchino Sbacchi e Giuseppe Pantaleo, il dottor Tumbarello, attualmente agli arresti domiciliari, ha cercato di difendersi affermando di non avere mai visto Matteo Messina Denaro. “Se fosse accaduto – ha aggiunto – sarei andato subito dalle forze dell’ordine”. Poi, ha spiegato che Andrea Bonafede classe ’63 gli disse che a ritirare le successive ricette mediche (richieste di ricovero, di altri esami diagnostici, etc.) sarebbe andato il cugino omonimo, classe ’69, perché lui non voleva che i familiari sapessero della sua patologia tumorale.
Patologia che, in realtà, affliggeva il capomafia castelvetranese. “Non visitai Andrea Bonafede – ha detto Tumbarello – perché davanti all’esito di una colonscopia era inutile”. Nella prima parte dell’interrogatorio, il pm De Leo ha chiesto all’imputato come fece da tramite per l’incontro tra Salvatore Messina Denaro, fratello di Matteo, e l’ex sindaco Dc di Castelvetrano Antonio Vaccarino. “Vaccarino – ha risposto Tumbarello – mi chiese se conoscevo Salvatore Messina Denaro e se potevo organizzare un incontro. Io conoscevo Salvatore Messina Denaro perché, come pneumologo, mi era stato chiesto di visitare la cognata, che non poteva muoversi da casa”.
“Fissammo il giorno e l’orario – ha proseguito – e loro vennero nel mio studio medico. Siccome nella sala d’attesa non c’era nessuno, Vaccarino mi chiese se potevano parlare lì. Mi sembrava brutto dire di no. Chiusi a chiave la mia stanza e andai via. Tornai un’ora dopo e non c’era più nessuno. Vaccarino, con cui per un certo periodo avevo frequentazione per motivi politici, non mi disse perché aveva voluto quell’incontro, né io glielo chiesi. Lo seppi, anni dopo, dai giornali”. Quell’incontro, come ha ricordato il pm De Leo, “era prodromico per l’avvio di un rapporto epistolare con Matteo Messina Denaro”. I servizi segreti, infatti, tramite Vaccarino, cercavano di scovare il superlatitante.