PALERMO – “La consapevolezza della sopraffazione fisica conseguita dal gruppo e della entità del pregiudizio cagionato alla vittima, l’accanimento dimostrato pur a fronte della tragica condizione della giovane, stremata tanto da perdere ripetutamente i sensi, il compiacimento per l’azione compiuta risaltano con evidenza tale da non esigere esplicazione alcuna né commento e danno compiuta e allarmante contezza della materialità del fatto e della intensità del dolo dell’imputato”. Così il tribunale dei minori di Palermo, nella motivazione della sentenza di condanna a 8 anni e 8 mesi, depositata oggi, descrive il comportamento del ragazzo, allora non ancora 18enne, imputato della violenza sessuale di gruppo subita a luglio scorso, in un cantiere abbandonato del Foro Italico, da una 19enne palermitana.
Il giovane, che ha compiuto 18 anni dopo i fatti, è stato processato separatamente; i coimputati, tutti maggiorenni, sono ancora sotto processo. Gli indagati sono ancora tutti detenuti. “Per completezza, va rilevato che il ragazzo ha espresso un giudizio di grave disvalore nei confronti della vittima – spiega il collegio – (‘per me lei era una poco di buono’), ha dato atto del tenore delle considerazioni, palesemente improprie, da lui svolte in merito al fatto (‘…ho riflettuto e ho capito che queste cose non si fanno a nessuno nemmeno a una prostituta o a una escort’) e ha poi dichiarato un generico pentimento per l’accaduto contestualmente rappresentando il malessere proprio e dei suoi familiari e una esigenza di aiuto riferita unicamente a sé”.
Il giovane, secondo i magistrati – ha tentato di sminuire il proprio ruolo e, “dichiarandosi impegnato in un percorso di riflessione e di maturazione, ha rappresentato di essere ‘molto pentito’ e di aver iniziato a considerare anche la posizione della vittima”, frasi a cui il tribunale, però, non ha creduto. L’imputato viene definito come “concentrato su sé e sulle sue difficoltà a stare nel processo penale” e “indifferente rispetto al dramma della vittima”. “I processi di rispecchiamento ed empatia sono risultati ‘limitati ai propri affetti'”, dice la sentenza. Piena, infine, secondo il collegio, l’attendibilità della vittima.