MAZARA DEL VALLO (TRAPANI) – Tutto è partito dalle chiavi. Un centinaio. Alcune trovate al capomafia dopo l’arresto, altre nella disponibilità della sorella Rosalia e di alcuni fedelissimi. Gli inquirenti avevano le chiavi ma non sapevano quali porte aprissero. E’ cominciato così l’ultimo capitolo dell’indagine sulla latitanza trentennale di Matteo Messina Denaro.
Per mesi polizia e carabinieri del Ros hanno cercato di capire dove portassero quelle chiavi. E soprattutto se, oltre alle due case di Campobello di Mazara in cui il capomafia ha passato molti anni da ricercato col nome del suo alias, il geometra Andrea Bonafede, esistessero altri covi. “Se ci fossero non ve lo direi”, aveva risposto beffardo Messina Denaro durante un interrogatorio agli inquirenti, un anno fa. Da allora, con pazienza certosina, gli investigatori si sono messi al lavoro incrociando tutti i dati a disposizione: l’analisi dei tabulati del cellulare sequestrato al boss dopo la cattura e le immagini delle videocamere piazzate in diversi punti del Trapanese, la provincia in cui si sono per anni concentrate le sue ricerche.
Dopo l’arresto del capomafia e dopo aver individuato l’Alfa Romeo Giulietta con cui il boss ricercato si spostava negli ultimi tempi, sono state ripassate al setaccio le riprese e esaminate le celle agganciate dal suo cellulare. Si è scoperto così che in una occasione il capomafia e la sua amante, Lorena Lanceri, attualmente detenuta e condannata a 13 anni per associazione mafiosa, si erano dati appuntamento in un luogo vicino Mazara del Vallo. Nelle immagini riprese dagli investigatori si vedono le auto dei due attraversare la visuale di una videocamera e comparire sotto un altro occhio elettronico un’ora dopo. Un elemento che ha spinto la polizia a pensare che i due si fossero fermati in un’area compresa tra le due telecamere.
Sono così iniziati gli accertamenti. La polizia, che aveva sequestrato le chiavi trovate al boss, ha scoperto che una apriva il cancello di un complesso residenziale in via Castelvetrano 45/c , una zona chiusa con 5 palazzi, box e garage. Questa mattina sono scattate, su ordine della Dda di Palermo, le perquisizioni che sono ancora in corso. Una delle chiavi sequestrate ha aperto un box comunicante con una stanza in cui sono stati trovati un cucinotto e un letto. Un nuovo covo di Messina Denaro? Presto per dirlo: i carabinieri del Ris sono al lavoro per cercare eventuali impronte e tracce del dna.
Dalla sua cattura gli inquirenti hanno sempre avuto il sospetto che Messina Denaro avesse altri nascondigli segreti, ancora mai rintracciati, in cui nascondeva documenti e soprattutto un computer. Interrogato, il capomafia ha sempre negato di averne avuto uno e ha raccontato di aver vissuto, fino alla malattia che l’ha costretto ad avere un cellulare con cui comunicare con le strutture sanitarie per le terapie, rinunciando alla tecnologia, sapendo bene che poteva essere un punto debole.
“Il pc? non mi è mai servito”, aveva detto ai pm. Una circostanza a cui i magistrati, che nei covi scoperti finora hanno scoperto migliaia di pizzini, molti dei quali pieni di appunti su affari e denaro, non hanno mai creduto. Nelle minuziose ricerche fatte dopo l’arresto, infatti, sono stati trovati diari, lettere, appunti con cifre – il padrino scriveva ogni spesa – ma non i documenti che, secondo i pentiti, il boss avrebbe ereditato dal capo dei capi, quell’archivio di Totò Riina sparito dopo la sua cattura e mai ritrovato.