“Uccise Roberta e poi giocò alla playstation”

Femminicidio a Caccamo, le motivazioni della sentenza

PALERMO – Dalle chat estrapolate dal tecnico informatico, non dal cellulare della ragazza che non è stato mai trovato, risulta che in un anno la giovane avrebbe subito 33 aggressioni. Roberta Siragusa ne parlava con un amico a cui mandava anche le foto dei segni sul corpo. Emerge dalle motivazioni della sentenza della prima sezione della corte di Cassazione, presieduta da Giacomo Rocchi, con cui lo scorso luglio il fidanzato di Roberta, Pietro Morreale, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio della diciassettenne avvenuto a Caccamo, nel Palermitano, la notte tra il 23 e 24 gennaio del 2021. Secondo i giudici l’imputato era capace di intendere e di volere “e nessuno degli elementi concilia con l’ipotesi difensiva della morte accidentale”. La giovane quella notte è stata colpita al volto più volte dal ragazzo di 19 anni che faceva kick boxing.

La Suprema corte ha confermato la ricostruzione dell’accusa: “Roberta Siragusa dopo essere stata colpita è caduta al suolo sulla piazzola all’interno del complesso sportivo di Caccamo, cosparsa di benzina, è stata deliberatamente arsa viva. La fiammata si è propagata con l’effetto miccia lungo una scia di carburante che Monreale ha linearmente sversato al suolo”. Dopo l’omicidio ed essersi liberato del corpo della giovane abbandonato in un dirupo, Morreale mandò un messaggio a un amico per giocare on line alla play station. L’imputato dovrà risarcire le parti civili e pagare le spese processuali delle parti civili: la madre di Roberta, Iana Brancato, il padre Filippo Siragusa, il fratello Dario, la nonna Maria Barone, assistiti dagli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Sergio Burgio e Simona La Verde.

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