CATANIA – La procura di Catania ha nuovamente chiesto al gip l’archiviazione dell’inchiesta sulla morte degli imprenditori Alessandro Rovetta, 37 anni, e Francesco Vecchio, 52, uccisi la sera del 31 ottobre 1990 nella sede della loro impresa, le Acciaierie Megara, nella zona industriale della città. Indagati nel procedimento sono il capomafia Aldo Ercolano, Orazio Privitera, Giovanni Rapisarda, Vincenzo Vinciullo, Carmelo Privitera e Francesco Rapisarda. L’inchiesta, dopo un annullamento con rinvio di una precedente archiviazione da parte della Cassazione per la mancata notifica della richiesta alle parti civili, era tornata alla procura di Catania che aveva chiesto, e ottenuto, dal gip l’archiviazione delle posizioni dei boss Benedetto Santapaola, Natale Di Raimondo, Umberto Di Fazio e di Filippo Branciforte e Francesco Di Grazia.
Il gip Marina Rizza, scrisse che “non sono emersi elementi indiziari a sostegno della loro compartecipazione” al duplice omicidio, ma dispose nuove indagini ritenendo che da dichiarazione di collaboratori di giustizia sarebbe “emerso il coinvolgimento nella vicenda di Aldo Ercolano e Orazio Privitera”. La procura dopo avere svolto gli accertamenti indicati ha ritenuto “il quadro probatorio non mutato”, anzi, si legge nella richiesta “deve ribadirsi che si sono ulteriormente rafforzati, da ultimo dopo l’interrogatorio di Eugenio Sturiale, gli elementi che escludono la responsabilità” dei sei imputati e che “non consentono di esercitare l’azione penale” nei loro confronti.
Mutuando la precedente richiesta la procura osserva che “non appare neppure concepibile esercitare l’azione penale, in relazione a un episodio delittuoso di eccezionale gravità come quello di cui si ragione, sulla base della piattaforma indiziaria manchevole e incompleta sin qui succintamente riassunta”. Una scelta, sottolinea la procura, che “non potrebbe portare al rinvio a giudizio dei prevenuti”, anzi, si spiega, “ancora peggio, nella ipotesi (improbabile) di evoluzione dibattimentale del procedimento, il labile quadro probatorio condurrebbe certamente a una assoluzione nel merito degli indagati, conferendo a soggetti nei confronti dei quali sussistono comunque elementi di sospetto una inopportuna patente di innocenza”. Nell’inchiesta sono parte offesa i fratelli Pierpaolo e Salvatore Vecchio, assistiti dagli avvocati Enzo Mellia e Giuseppe Lo Faro che stanno valutando se presentare opposizione alla richiesta di archiviazione.
C’è anche la richiesta di un’ordinanza cautelare rigettata legata al clan Sciuto Tigna e l’esplorazione di una pista palermitana tra le strade intraprese dalla Procura di Catania nell’inchiesta. Nel marzo del 2023 la Procura chiede un provvedimento cautelare per Carmelo Privitera, indagato con Francesco Rapisarda, per cui non è presentata alcuna richiesta per la sua età, 80enne. Nella richiesta si indica Rapisarda come mandante e Privitera, con Rosario Russo (poi ucciso in un agguato) e ignoti come esecutori materiali. La pista era quella degli interessi economici degli imprenditori Francesco e Carmelo Rapisarda (deceduto) nell’acciaierie e la “loro vicinanza al gruppo mafioso Sciuto Tigna”. L’ipotesi era che “la volontà di Vecchio di operare una riorganizzazione del personale procedendo al licenziamento dei pregiudicati, di fatto assunti nelle società del Rapisarda, avrebbero determinato nei due fratelli la volontà di eliminarlo, considerandolo un soggetto scomodo”.
Secondo questa ricostruzione “il giorno dell’omicidio Vecchio avrebbe casualmente dato un passaggio con la propria auto a Rovetta” che non era l’obiettivo del commando. Il gip nel giugno del 2024 rigetta la richiesta e dispone invece maggiori accertamenti sulla pista ‘palermitana’: gli Ercolano avrebbero ordinato l’omicidio per un ordine arrivato da Palermo, come riferito da Maurizio Avola e Giuseppe Sturiale. Ma, osserva la Procura, “nessuno dei collaboratori palermitani con ruolo di vertice di Cosa nostra è a conoscenza delle dinamiche” del duplice omicidio e neppure quelli di spicco della ‘famiglia’ di Catania. Avola commette un errore, “parla di un altro omicidio commesso alle acciaierie”, mentre Sturiale spiega che “la pista palermitana”, di cui aveva parlato, era stata “una sua deduzione” perché aveva sentito dire da Orazio Privitera che “l’ordine era partito dall’alto”, ma di “non essere in possesso di più specifiche indicazioni circa i componenti del commando criminale che uccise Rovetto e Vecchio, né di modalità concrete dell’omicidio”.