Le notizie ufficiali dal Congo sembrano ridimensionare l’allarme per l’epidemia nel Paese africano. La zona di Panzi, dove si è sviluppata la malattia, è estremamente remota e scarsamente popolata. La valutazione degli esperti al momento è che l’epidemia possa dunque essere contenuta. Secondo il ministero della Sanità congolese – a quanto apprende l’ANSA da fonti informate – l’epidemia dura da oltre 40 giorni ed i morti accertati in presidi sanitari sono 27 su 382 contagiati. Altri 44 decessi sono stati registrati nei villaggi limitrofi, ma senza una verifica della diagnosi, per un totale di circa 70 morti in una vasta area. Una gran parte dei decessi si deve però alla totale mancanza di cure. Il tasso di mortalità è intorno all’8%, tale da meritare certamente attenzione ma non allarmismo, considerando poi il quadro complessivo.
Nel frattempo, in attesa di informazioni ancora più precise che arriveranno dai test che saranno condotti dagli esperti dell’Oms, gli infettivologi cercano di stringere il cerchio su una rosa di potenziali responsabili di quanto sta avvenendo: dalla febbre emorragica, a qualche forma di polmonite, ai contagi respiratori. Peserà molto, come sempre in queste situazioni, la possibità di contenere il contagio in un’area limitata. A Kenge, il capoluogo della regione interessata, si trova un piccolo aeroporto nazionale, ma l’accesso alla regione è complicato, specialmente durante l’attuale stagione delle piogge. In questo periodo ci possono volere 12-24 ore per raggiungere la regione di Kwango dalla capitale con un automezzo. Non c’è una strada diretta tra Kenge e Panzi, l’area dell’epidemia, che è molto più a Sud e vicina al confine con l’Angola. La zona inoltre è interessata dal conflitto Yaka-Teke con le milizie ‘Mabondo’ attive a Nord di Kenge. Alla data di ieri i team del ministero della Sanità congolese, partiti dalla Capitale con equipaggiamenti tecnici, non erano ancora giunti in loco.
“La menzione dell’anemia fa pensare alla polmonite da Mycoplasma, ma è troppo presto per fare una diagnosi definitiva finché non saranno riportate ulteriori analisi”, ha spiegato Paul Hunter, Professore di Medicina presso l’UEA (University of East Anglia). Il Mycoplasma pneumoniae è un batterio responsabile di patologie che interessano soprattutto l’apparato respiratorio. Le manifestazioni variano dalle lievi infezioni delle vie aeree superiori (raffreddore, faringite ecc.) fino alle forme più severe di polmonite, spesso asintomatica, ma, quando le difese immunitarie sono ridotte, l’infezione può condurre a complicanze ematologiche e neurologiche gravi. Per Hunter le “segnalazioni di epidemie con decessi emergono da qualche parte nel mondo diverse volte all’anno. Quasi tutte risultano essere infezioni già note con conseguenze globali limitate”. Per Jake Dunning, ricercatore senior e consulente in malattie infettive presso il Pandemic Sciences Institute dell’Università di Oxford, “ci sono molteplici, potenziali cause infettive per questo focolaio di malattie non identificato, in base ai sintomi descritti e alle descrizioni di chi è maggiormente colpito, e ci sono anche alcune possibili cause non infettive. Speculare sulle cause di eventi di malattie non identificati, che accadono periodicamente, specialmente nei paesi africani, non è utile e a volte può essere dannoso”.
In Congo e Camerun, con la presenza della foresta equatoriale ed una grandissima varieta’ di animali, si concentra la maggiore parte dei virus del pianeta. Un luogo quindi ideale per l’ormai noto salto di specie (spillover), il processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana, sottolinea Carlo Perno, responsabile Microbiologia e diagnostica di immunologia, dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, secondo il quale “si potrebbe trattare di un’infezione a trasmissione respiratoria. Ma non sappiamo quante persone si sono davvero infettate. In quelle zone solo il 3-4% delle persone riesce ad accedere all’assistenza medica in ospedale”.