WASHINGTON – Addio fact-checking su Facebook e Instagram. Lo ha annunciato il ceo di Meta Mark Zuckerberg in quello che a media e analisti appare l’ennesimo inchino a Donald Trump e al nuovo clima ideologico della destra, che privilegia l’assoluta libertà di espressione sulla lotta contro la disinformazione e l’odio in rete.
Una svolta che ha riscosso subito il plauso sia del presidente eletto (“Meta ha fatto molta strada”) che del suo first buddy Elon Musk (“Cool”, ossia “figo”). “Ci libereremo dei fact-checker e li sostituiremo con note della comunità simili a X, a partire dagli Stati Uniti”, ha spiegato Zuckerberg in un video sui social (dopo aver preavvisato il team di Trump), escludendo piani immediati per l’Ue e la Gran Bretagna, dove vigono leggi più restrittive che impongono alle società di Big Tech di assumere maggiore responsabilità per i loro contenuti, pena sanzioni pesanti.
Non a caso il ceo di Meta, nella sua rinnovata battaglia per la libertà di espressione a fianco di The Donald, ha attaccato anche il Vecchio continente. “Lavoreremo col presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore”, ha dichiarato, accusando l’Europa di avere “un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione lì”. Zuckerberg ha puntato il dito anche contro l’amministrazione Biden, che a suo dire “ha premuto per la censura andando contro di noi ed altre compagnie Usa”.
Il patron di Meta ha spiegato la svolta sostenendo che “i fact checker sono stati troppo politicamente di parte e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata. Quello che è iniziato come un movimento per essere più inclusivi è stato sempre più utilizzato per mettere a tacere le opinioni ed escludere le persone con idee diverse, ed è andato troppo oltre”. Sostanzialmente ha sposato le accuse che Trump e la destra facevano ai suoi social. Ma ha ammesso che la svolta rischia di far apparire sulla piattaforma più contenuti dannosi: è il prezzo da pagare per il “free speech”.
Dal 2016 Meta aveva un programma di fact-checking basato su organizzazioni terze indipendenti che valutavano i post apparentemente falsi o fuorvianti e li etichettavano se necessario come inaccurati offrendo agli utenti più informazioni. Ora ci si affiderà al sistema delle ‘community notes’, introdotto da Musk dopo l’acquisto di X: esso coinvolge persone con punti di vista diversi che concordano su note che aggiungono contesto o chiarimenti a post controversi. Un sistema che non ha impedito il dilagare della disinformazione e dell’odio su X, dove peraltro Musk imperversa notte e giorno con controversi attacchi al veleno contro leader europei (alleati) su cui oggi Trump ha sorvolato.
Ora quindi tutte le principali piattaforme social globali, almeno negli Usa, sono senza freni, creando un terreno fertile per l’emergente destra tecnocratica che concentra potere politico e grandi monopoli. A suggellare l’allineamento di Zuckerberg a Trump – cui ha già donato un milione di dollari per la sua cerimonia di insediamento – anche l’ingresso nel cda di Meta, oltre che di John Elkann e Charlie Songhurst, di Dana White: il re degli eventi di arti marziali miste e storico alleato del tycoon. Una nomina che si aggiunge a quella del repubblicano Joel Kaplan al posto dell’ex vice premier liberal britannico Nick Clegg come global affairs chief di Meta. Ma ormai sul carro del vincitore sono saliti tutti i magnati americani, da Jeff Bezos a Tim Cook, da Sam Altman a Satya Nadella e Sundar Pichai.