Droga nell’Agrigentino: altri 24 indagati

Ricostruito organigramma dei clan di Porto Empedocle e Villaseta VD

AGRIGENTO – Operazione antimafia dei carabinieri del nucleo investigativo reparto operativo di Agrigento che hanno eseguito e notificato 48 misure cautelari. Ai 24 fermi delle scorse settimane, sono seguite – fra Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle e Gela – le ordinanze di custodia cautelare a carico di altri 24 indagati che erano rimasti a piede libero lo scorso dicembre. A firmare i provvedimenti è stato il gip del tribunale di Palermo, Antonella Consiglio, su richiesta della Dda di Palermo.

L’inchiesta è quella che ha fatto luce sui presunti appartenenti a Cosa nostra e un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Complessivamente 51 gli indagati, di cui 36 ristretti in carcere, mentre per i restanti 15 la misura cautelare degli arresti domiciliari. Durante la notte, i militari hanno eseguito nei confronti degli indagati a piede libero e notificato direttamente in carcere un totale di 48 misure cautelari. Per tre non si è potuto procedere perché, al momento, si trovano all’estero.

Dal dicembre del 2021 a oggi i carabinieri hanno cercato di ricostruire l’organigramma e le attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento Villaseta, con a capo – stando alle accuse – rispettivamente Fabrizio Messina, 49 anni di Porto Empedocle, e Pietro Capraro, 39 anni, di Agrigento.

“Pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni – ricostruiscono dal comando provinciale dei carabinieri di Agrigento -, Cosa nostra agrigentina è tutt’oggi pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi, per di più in un contesto caratterizzato da una instabilità degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra gli associati ristretti all’interno del circuito carcerario e gli ambienti criminali esterni. È stato riscontrato, infatti, un sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d’onore, o di soggetti contigui al sodalizio, durante i rispettivi periodi di detenzione, lasciandone in tal modo inalterate le capacità di comando e consentendo loro di mantenere i contatti con i correi in libertà e di impartire ordini e direttive”.

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